Infrastrutture contro la crisi

La creazione di nuove infrastrutture di ricerca è tra le soluzioni da perseguire per dare forza all’economia e reagire alla crisi. Puntando sull’integrazione e sul coordinamento delle risorse europee. È questa la proposta del mondo scientifico a livello comunitario, presentata nella quinta European Conference on Research Infrastructures (Ecri), tenutasi il 9 e il 10 dicembre scorsi a Versailles. In quell’occasione lo European Strategy Forum on Research Infrastructures (Esfri) ha indicato il percorso che l’Europa dovrebbe seguire per realizzare 44 grandi infrastrutture di ricerca. 

“Per infrastrutture di ricerca si devono intendere non solo le grandi apparecchiature, ma anche la conoscenza, le risorse umane”, afferma Hervé Pero, capo dell’unità della direzione generale ricerca per le infrastrutture dell’Unione Europea. Per questo motivo l’attenzione si concentra sulla cooperazione, la condivisione della conoscenza e l’integrazione delle strutture già esistenti sul territorio dei paesi membri. Ma il problema, ovviamente, è economico. Il VII Programma Quadro, attraverso il quale vengono finanziati i progetti di ricerca europei, prevede lo stanziamento di circa 2,7 miliardi di euro (tra il 2007 e il 2013). “Finanziamenti che riescono a coprire solo il 2,5 per cento delle spese necessarie a far funzionare le attuali strutture”, indica Pero. “Per mantenere lo stato attuale, infatti, servirebbero circa dieci miliardi di euro all’anno”. Parlare di mancanza di fondi durante una congiuntura economica sfavorevole può sembrare inopportuno, ma, secondo l’Esfri, investire nella ricerca potrebbe stimolare il superamento delle difficoltà. “La crisi economica è un’opportunità”, afferma Carlo Rizzuto, direttore dell’Esfri, “un’opportunità per riunirsi secondo un modello migliore”. 

Su questa scia è stata ridisegnata la cosiddetta “roadmap”, la strada che i paesi europei dovrebbero percorrere nel campo della ricerca scientifica nei prossimi venti anni. La prima era stata presentata nel 2006, a cui ora sono state aggiunte dieci nuove infrastrutture. Si tratta di progetti, valutati dall’Esfi con il coinvolgimento di più di duecento scienziati, che abbracciano diversi campi e prevedono un costo totale di realizzazione pari a quasi 1,5 miliardi di euro. Facciamo qualche esempio. Lo European Plate Observing System (Epos), che intende riunire in un unico sistema distribuito e interdisciplinare diverse strutture ora sparse per l’Europa, con lo scopo di comprendere meglio terremoti, eruzioni vulcaniche e dinamica delle placche. O una serie di laboratori ad alta sicurezza (European High Security Bsl-4 laboratories), utili per affrontare ogni minaccia pandemica, costruendo nuove strutture, migliorando le esistenti e realizzando un’organizzazione che ne coordini l’attività. O ancora, tra gli altri, lo European Carbon Dioxide Capture and Storage Laboratory (Eccsel), dedicato alla cattura e allo stoccaggio dell’anidride carbonica. 

Una volta stabilite quali grandi strutture finanziare, resta da decidere dove vadano realizzate. “È una decisione che dovrà prendere la politica”, indica Rizzuto. E resta da vedere come le esigenze europee possano essere integrate in quelle nazionali: sedici paesi europei hanno già pubblicato le proprie roadmap o stanno per farlo, tra cui anche l’Italia; piani strategici che solo in parte si ispirano alle priorità indicate dall’Esfri. 

Il cammino verso la realizzazione di queste grandi infrastrutture, quindi, è irto di difficoltà, come testimoniano anche i dati relativi ai 35 già consigliati nella roadmap del 2006: sei sono già nella fase di costruzione, o hanno comunque ricevuto fondi; undici sono sulla buona strada, in una fase avanzata di preparazione, anche se i finanziamenti non sono ancora garantiti; le altre sono in attesa di essere approvate a livello Ue. Un progetto, invece, è stato abbandonato: lo European Resource observatory for the humanities and social sciences (Erhos) infatti si sovrapponeva ad altre iniziative simili.

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