Insieme contro l’Alzheimer

In Italia ne soffrono circa 700.000 persone. Quasi tutte hanno superato i 65 anni. E, in un paese che invecchia sempre più, l’Alzheimer è destinata a diventare la malattia del futuro. Chi ne è affetto, più donne che uomini, va incontro a una perdita graduale delle proprie capacità cognitive, prima tra tutte la memoria. In occasione della Giornata Mondiale dell’Alzheimer, celebrata il 19 settembre, l’Ircss (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) Centro S. Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia, dedica un convegno alla malattia dal titolo: “Le demenze: alla ricerca di outcome clinicamente significativi”. Abbiamo chiesto a Orazio Zanetti, primario dell’unità operativa Alzheimer dello stesso Istituto, di fare il punto della situazione sulla diagnosi e terapia di questo morbo. E di spiegarci come è possibile avere dei risultati significativi. Più di mezzo milione di persone in Italia soffrono di Alzheimer. Sono dati allarmanti. Corrispondono a realtà?”Effettivamente il fenomeno ha acquisito una dimensione epidemica. Nei paesi occidentali l’8-10 per cento delle persone con più di 65 anni soffre di qualche tipo di demenza. Per il 50 per cento dei casi si tratta di Alzheimer. Ma la diagnosi non è sempre certa”.Come mai è difficile ottenere una diagnosi precoce della malattia?”Perché non esiste un esame dal responso inequivocabile. Ossia non è ancora stato trovato, nonostante i continui tentativi, un marker biologico dell’Alzheimer. Presso il centro di Brescia sono in atto procedure che tramite la misurazione del grado di atrofia delle regioni cerebrali, danno un risultato più accurato. Ma la diagnosi è comunque affidata all’abilità e all’esperienza del medico e si basa su una valutazione clinica complessa. Fondamentali sono le informazioni fornite dai familiari del paziente”.Parliamo della terapia. Esistono delle cure? Quando funzionano?”Esistono dei farmaci come il donepezil, la rivastigmina e la galantamina, che sono in grado di migliorare i disturbi della sfera cognitiva. Queste medicine agiscono sulle tre principali manifestazioni della malattia: la perdita della memoria, l’incapacità di svolgere attività in maniera autonoma e i cambiamenti comportamentali, che possono sfociare in crisi depressive, sbalzi umorali, o in una prolungata apatia affettiva. Che è forse l’aspetto più sconvolgente della malattia, quello che i familiari fanno fatica ad accettare. Per ottenere risultati positivi però la terapia deve iniziare molto presto”.E qui torna il problema della diagnosi. Quali sono i sintomi di allarme?”Bisogna innanzitutto sfatare un luogo comune. Non c’è nessun legame obbligato tra invecchiamento e perdita di memoria. Altrimenti non si spiegherebbe perché alcuni ultracentenari ricordano tutto senza difficoltà. Quello che viene definito Mci (Mild Cognitive Impairment), ossia lieve decadimento cognitivo, è spesso legato ad altre patologie ed è reversibile. Un 15 per cento invece scivola verso l’Alzheimer. Se si riuscisse a intervenire a valle, prima che la malattia diventi conclamata, si potrebbe bloccare il decorso di circa un anno”.Non sembra un grande risultato…”Eppure è un fatto positivo. Se si pensa che si tratta di persone anziane, un anno può significare molto. Però, bisogna ammetterlo, non abbiamo ancora strumenti veramente efficaci nella lotta alla malattia. Si era tentata la strada del vaccino, ma senza risultati. Del resto sappiamo ancora troppo poco sulle cause che scatenano l’Alzheimer”.Cioè?”Sappiamo che all’origine del danno neuronale vi è l’accumulo a livello cerebrale della proteina beta-amiloide. Ciò accade per colpa di un’eccessiva produzione o per un mancato smaltimento. L’obiettivo della ricerca è intervenire per evitare il deposito patologico della proteina. A questo doveva servire il vaccino, ma è stato sospeso per via dei numerosi effetti collaterali”.Diagnosi incerta, terapie non risolutive. E sulla prevenzione si può fare qualcosa?”Purtroppo i fattori di rischio di cui siamo finora a conoscenza ci permettono di fare ben poco. Si tratta infatti di caratteristiche non modificabili: l’età, il sesso (femminile), la predisposizione genetica. La scolarità è l’unica sfera su cui possiamo agire. Un elevato grado di istruzione sembrerebbe infatti ridurre il rischio di contrarre la malattia”.Quindi, per riprendere il tema del convegno, come si ottengono degli outcome (risultati) significativi per la salute del paziente?”I farmaci da soli non bastano. È indispensabile la collaborazione dei familiari, che però sono spesso scoraggiati perché abbandonati a se stessi. Sarebbe utile incentivare la diffusione di strutture diurne che funzionano un po’ come gli asili per i bambini. Un luogo che fornisce assistenza e solleva per qualche ora i familiari dalle incombenze più faticose. Questi centri permettono al paziente di rimanere a casa e propria e nello stesso tempo di beneficiare di cure specializzate”.

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