Intreccio a Stoccolma

Il premio per la medicina a un fisico e un chimico. Quello per la chimica a due medici, quello per la fisica a dei fisici le cui ricerche sono utili anche in medicina. Quest’anno i Nobel sono stati all’insegna dell’interdisciplinarità. La cerimonia di premiazione, avvenuta nella Concert Hall di Stoccolma il 10 dicembre scorso, ha dimostrato ancora una volta che la scienza sostanzialmente è una e che ciò che viene scoperto in un campo può trovare valida applicazione in un altro. “Incominciai a pensare che doveva esistere un modo meno cruento di diagnosticare una malattia a un topo quando vidi per la prima volta una vivisezione”, ha dichiarato alla conferenza stampa che ha preceduto la premiazione Paul C. Lauterbur, Nobel per la medicina per i suoi studi sulla risonanza magnetica. La sua esperienza di chimico gli permise di pensare alla composizione dell’organismo umano – per due terzi formato da acqua – e a capire come fosse possibile “vedere” ciò che l’occhio del medico non poteva fino a quel momento osservare se non tagliando. Mettendo cioè in evidenza la differente quantità di acqua contenuta nei tessuti malati. Come? Grazie al fatto che gli atomi di idrogeni si comportano come dei microscopici aghi di bussola: in presenza di un campo magnetico si mettono sull’attenti. Parallelamente lavorava il fisico Peter Mansfield mostrando come fosse possibile analizzare con metodi matematici i segnali emessi dai tessuti e dagli organi una volta investiti di un campo magnetico e come trasformarli in immagini. La risonanza magnetica è ormai un esame diagnostico di routine, eseguito in tutto il mondo. Nonostante questo c’è ancora margine per migliorarne il rendimento. E qui entra in gioco il premio Nobel per la Fisica assegnato quest’anno a Alexei Abrikosov, Vitaly Ginzburg e Anthony Legget per le loro scoperte nel campo della superconduttività. In linea teorica infatti i materiali superconduttori potrebbero essere utilizzati per costruire macchinari di risonanza molto sofisticati. Ma allo stato attuale le proprietà di conduzione, la possibilità cioè che la corrente passi senza dispersione, si possono avere solo a temperature molto basse. E proprio l’eventualità di realizzare un superconduttore a temperatura ambiente è stata al centro della conferenza stampa di presentazione dei Nobel. “Si tratta di una possibilità teorica”, ha affermato Abrikosov che anni fa ha lasciato la Russia per trasferirsi negli Stati Uniti, dove oggi lavora nel Laboratorio Nazionale delle Argonne, “che al momento però assomiglia di più a un sogno”. “Già a partire dalla metà degli anni Ottanta si parlava di alte temperature”, gli ha fatto eco Ginzburg che lavora all’Istituto di Fisica di Lebedev di Mosca, “ma ancora oggi non possiamo prevederne la realizzazione in tempi brevi”.A promettere applicazioni in tempi più brevi è invece la scoperta di Peter Agre e Roderick MacKinnon, Nobel per la chimica, anche loro interessati all’acqua presente nell’organismo umano. In particolare a come i sali e l’acqua vengano trasportare all’interno e all’esterno delle cellule. Un’intuizione arrivata di notte: “Ho ‘visto’ per la prima volta gli ioni calcio nei canali cellulari la notte di capodanno del 1998”, racconta MacKinnon: “Stavamo studiando la struttura dei canali del potassio. Avevamo capito quale era lo scheletro di base della catena, ma non riuscivamo a vedere gli ioni. Quella notte non riuscivo a dormire e mi sono messo davanti al computer a vedere e rivedere le sequenze di dati che passavano sullo schermo. Fino a quando non ho visto ciò che cercavamo da tempo”. Sapere come funzionano i canali cellulari porterà a modificarne l’attività quando essa sia causa di malattie o disfunzioni, “come nel caso della fibrosi cistica, delle malattie cardiache, dell’epilessia”, ha affermato MacKinnon. Un campo molto promettente, quindi. Di interesse medico più che chimico. E il cerchio si chiude.

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