Italiano mon amour

Non più solo spaghetti, pizza e mandolino. Il “vivere all’italiana” sembra avere successo tra gli stranieri per un motivo in più: la melodia, la ricchezza e le opportunità che la nostra lingua offre. Chissà cosa penserebbero Dante e Petrarca, infatti, nell’apprendere che l’italiano è al quarto posto nella classifica delle lingue più studiate. E che l’attenzione che gli viene dedicata all’estero è in costante aumento. Ne hanno discusso giovedì 21 febbraio scorso una trentina di relatori, italiani e stranieri, nel corso della presentazione dello studio “Italiano 2000, indagine sulle motivazioni e sui pubblici dell’italiano diffuso tra stranieri”, condotto dal Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari dell’Università di Roma La Sapienza e dall’Università per Stranieri di Siena, per conto del Ministero degli Esteri italiano. L’obiettivo della ricerca, che ha coinvolto 90 Istituti Italiani di Cultura, è stato quello di raccogliere dati sulla diffusione della lingua italiana nel mondo, facendo il punto sulle caratteristiche, le motivazioni e i bisogni formativi dei pubblici dell’italiano, le metodologie dell’offerta formativa, e le condizioni generali per lo sviluppo della nostra lingua nel mondo.

Cresce dunque il numero di studenti che frequentano i corsi di italiano organizzati dagli Istituti: nel 2000 erano 45.699, rispetto ai 33.065 del 1995 (più 38,2%). Aumentano anche i corsi di italiano attivati all’estero, soprattutto quelli destinati agli adulti: nel 2000 sono stati 3.684, cioè 1.330 in più rispetto al 1995 (più 57%). Il numero dei corsi aumenta, in percentuale, più del numero degli studenti: le classi hanno quindi un numero minore di allievi, a tutto vantaggio della correttezza della metodologia glottodidattica. Un incremento contenuto, invece, è quello dei docenti impegnati negli istituti. Nel 2000 sono stati 686, contro i 628 del 1995 (più 8,4%). Risultano buone, invece le dotazioni in termini di strumentazione bibliografica e informativa.

“Abbiamo avviato questa indagine”, spiega Massimo Vedovelli, co-autore dello studio e docente presso l’Università per stranieri di Siena, “perché una serie di indizi negli ultimi anni segnalavano dei cambiamenti nelle caratteristiche dei pubblici e delle motivazioni allo studio della nostra lingua nel mondo”. L’ultima ricerca svolta alla fine degli anni Settanta, infatti, metteva in luce il fatto che la stragrande maggioranza degli stranieri studiava l’italiano per motivi genericamente culturali. Ora le cose sembrano cambiate. “Mentre prima esisteva una sola motivazione, di tipo culturale (32,8%), oggi ne esiste un’ampia gamma, soprattutto strumentali. Ciò indica una nuova vitalità della lingua in rapporto anche ai cambiamenti sociali ed economici del nostro Paese”. Quasi uno straniero su quattro, infatti, studia l’italiano per motivi di lavoro (22,4%) e di investimento professionale, per poter lavorare con ditte italiane o per far carriera sul posto di lavoro. Questo dato, quindi, conferma l’ipotesi di fondo della ricerca: non è possibile scindere la proposta culturale di diffusione dell’italiano dalla condizione dell’Italia come Paese creatore di processi economici che travalicano i suoi confini.

“Ma questa tendenza positiva non è distribuita omogeneamente in tutto il mondo”, continua Vedovelli, “Varia passando da una realtà locale all’altra”. Ciò pone diversi interrogativi: la variabilità è frutto della domanda di italiano in una determinata area geografica o è invece l’offerta variabile di italiano da parte degli Istituti a condizionare la domanda da parte del pubblico? “Questa non omogeneità è un limite, ma se vogliamo diffondere la nostra lingua nel mondo, in concorrenza con le altre, è necessario trasformare il limite in risorsa”, spiega Vedovelli, “l’industria culturale della lingua italiana dovrà raccogliere la sfida del legame tra la tradizione intellettuale e le forme della modernità, anche sul piano dei rapporti con le nuove tecnologie”.

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