Spazio

Novant’anni fa nasceva Jurij Gagarin, il primo essere umano nello Spazio

Se le cose non fossero andate come sono andate, staremmo celebrando il novantesimo compleanno di Jurij Gagarin, uno dei più grandi pionieri della storia dell’umanità, il cui nome sta di diritto accanto a quello dei fratelli Wright, di Amalia Earhart, di Edmund Hillary, di Neil Armstrong, di Roald Amundsen e di tutti i primi esseri umani a: nel caso di Gagarin parliamo, ovviamente, dell’esplorazione spaziale. L’aviatore sovietico è stato infatti il primo essere umano a volare nel cosmo, il 12 aprile 1961, a bordo della capsula Vostok 1. Un evento così importante e significativo per la storia della scienza e dell’umanità che nel 2011 le Nazioni Unite hanno scelto proprio la data del 12 aprile per celebrare la Giornata internazionale dei viaggi umani nello Spazio. Abbiamo iniziato con un periodo ipotetico, perché il destino beffardo ci impedisce di festeggiare il compleanno di Gagarin come avremmo voluto: ironia della sorte, il pilota ha perso la vita a soli 34 anni, nel 1968, durante un volo di addestramento a bordo di un MiG-15.

Dalla campagna russa allo Spazio

Jurij Alekseevič Gagarin era nato il 9 marzo 1934 a Klušino, un piccolo villaggio agricolo nell’oblast’ di Smolensk. Suo padre era un falegname, sua madre una contadina: terzo di quattro figli – i sue due fratelli più grandi, tra l’altro, furono deportati in Polonia e finirono ai lavori forzati – dovette interrompere gli studi e poté riprenderli solo nel 1946, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, quando si trasferì con la famiglia a Gžatsk (che dal 1968 si chiama, per l’appunto, Gagarin). Lavorò prima come operaio, poi conseguì il diploma di metalmeccanico e cominciò ad appassionarsi all’aeronautica. Studiando di sera, conseguì il brevetto di volo e si qualificò per il pilotaggio del MiG-15, il velivolo sul quale avrebbe poi trovato la morte. Nel 1957 cominciò a volare da solo e fu nominato tenente nelle forze aeree sovietiche; due anni più tardi fu intervistato da una commissione medica per la qualificazione al programma spaziale Vostok.

I precedenti: Sputnik e Laika

Il 4 ottobre 1957 l’allora Unione Sovietica lanciò il satellite Sputnik 1 (che in italiano si traduce come semplice satellite): il veicolo rimase in orbita per tre settimane prima che le sue batterie si esaurissero; quindi, rimase in orbita per altri due mesi prima di rientrare nell’atmosfera distruggendosi. Un lancio che segnò ufficialmente l’inizio dell’era dell’esplorazione spaziale e della corsa allo spazio: Sputnik era infatti il primo satellite artificiale a essere mandato in orbita intorno alla Terra. Ma già subito dopo il lancio gli scienziati sovietici pensarono di alzare ulteriormente l’asticella e si misero al lavoro per riuscire a portare in orbita degli esseri viventi, possibilmente prima dei colleghi statunitensi. Detto, fatto: il 3 novembre 1957 fu il turno di Laika, una cagnolina che fu imbarcata a bordo della capsula Sputnik 2, diventando così il primo animale a orbitare intorno alla Terra e il primo essere vivente a volare nello Spazio (anche Laika ebbe un destino amaro: per la Sputnik 2 non era previsto il rientro a Terra, e capsula e cagnolina si disintegrarono attraversando l’atmosfera del nostro pianeta).

Il turno di Vostok 1

Quattro anni più tardi, come vi raccontavamo, arrivò finalmente il turno degli esseri umani. L’agenzia spaziale sovietica, Rka, aveva selezionato venti candidati per la missione; nel gennaio 1961 la rosa scese a sei persone e la scelta infine ricadde su Jurij Gagarin. Il lanciatore Vostok decollò il 12 aprile 1961 alle 9:07 dal cosmodromo di Baikonur e raggiunse pochi minuti dopo, senza alcuna deviazione rispetto a quanto programmato, la traiettoria di orbita terrestre. Le manovre della capsula erano completamente comandate da terra (sebbene Gagarin avrebbe potuto intervenire per tentare un atterraggio di emergenza nel caso fossero insorti dei problemi): la Vostok eseguì un’orbita completa attorno al nostro pianeta e successivamente si accesero i retrorazzi frenanti per cominciare la manovra di rientro. Anche in questo caso era previsto un piano B: la traiettoria orbitale era stata scelta in modo che anche se i retrorazzi non avessero funzionato la capsula sarebbe finita su un cammino di rientro controllato in una decina di giorni (e difatti a bordo erano state caricate provviste alimentari e riserve d’ossigeno e di energia per dieci giorni).

In ogni caso, funzionò tutto quasi alla perfezione: dopo una forte turbolenza dovuta all’attrito con l’atmosfera, si aprì il paracadute e a circa 7mila metri di quota Gagarin si eiettò dalla capsula e atterrò nella steppa russa, nei pressi della città di Engels. Durata totale dell’operazione: un’ora e quarantotto. 108 minuti che avrebbero cambiato per sempre la storia dell’esplorazione spaziale.

La scomparsa

Dopo il ritorno trionfale sulla Terra, Gagarin divenne un simbolo della conquista umana dello spazio. Viaggiò in tutto il mondo, incontrando leader politici e celebrità; venne insignito di onorificenze e premi, tra cui la medaglia d’oro di Eroe dell’Unione Sovietica. Purtroppo, come anticipavamo, il suo fu un destino beffardo: il 27 marzo 1968, a soli 34 anni, morì in un indicente aereo durante un volo di addestramento. Era a bordo di un MiG-51 insieme all’istruttore di volo Vladimir Serjogin, e a tutt’oggi la dinamica dell’incidente non è ancora chiara (come è facile immaginare, è diventata oggetto di diverse teorie più o meno fantasiose, che coinvolgono anche i servizi segreti sovietici). Gagarin e Serjogin sono stati cremati e le loro ceneri si trovano nelle mura del Cremlino, a Mosca.

Via: Wired.it

Sandro Iannaccone

Giornalista a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. È laureato in fisica teorica e collabora con le testate La Repubblica, Wired, L’Espresso, D-La Repubblica.

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