Vita

La balenottera di Matera riscrive la storia dei grandi cetacei

C’era una volta la balenottera di Matera, il più grande fossile di balena mai rinvenuto e il più grande animale fossile mai scoperto: lunga 26 metri, come due autobus in fila, nuotava 1,5 milioni di anni fa nel nostro Mediterraneo. C’era una volta ma per fortuna c’è ancora, anche se in pericolo: gigante tra i giganti dei mari, la balenottera azzurra infatti continua a nuotare, forse ignara di essere il più grande animale ad essere mai esistito. Un gigantismo che, si credeva, i cetacei avrebbero sviluppato “recentemente”, solo tre milioni di anni fa. Oggi, però, una ricerca italiana coordinata dall’Università di Pisa e pubblicata sulle pagine di Biology Letters della Royal Society, riscrive la storia del gigantismo nei cetacei, portandone indietro la lancetta. E questo proprio grazie alla balenottera di Matera.

Giuliana, la balenottera di Matera

La battezzarono Giuliana. Era il 2006 e il team di paleontologi aveva portato alla luce dalle sabbie del lago di San Giuliano, poco lontano da Matera, uno scheletro fossile molto simile a quello di una balenottera azzurra, balenoptera musculus. Per diverse caratteristiche simili e soprattutto per le dimensioni, i ricercatori avevano attribuito il fossile di Giuliana alla specie delle balenottere azzurre, anche se tuttora non ha certezza assoluta. Giuliana doveva pesare quasi 150 tonnellate. Nuotava nel Mediterraneo che diversamente da oggi era casa di questi grandi mammiferi e il suo corpo gigante si era posato su quello che all’epoca era il fondale marino. La sua storia risale a 1,5 milioni di anni fa, durante il Pleistocene, come hanno scoperto gli studiosi, datandone i fossili. Giuliana è così il più antico fossile tra i titani simili alla balenottera azzurra e ha permesso di riscrivere la storia del gigantismo.

Esemplare di balenottera azzurra, al largo della California. Crediti: David Slater/Flickr

Il gigantismo, un’esplosione?

Soltanto due anni fa alcuni ricercatori del Museo Smithsonian di Storia Naturale avevano ricostruito l’albero genealogico dei fossili di balena, risalenti fino a 30 milioni di anni fa. Dal loro lavoro era emerso che la taglia dei cetacei si era mantenuta piccola e costante nel corso di milioni di anni di evoluzione. Poi, improvvisamente, un rapido aumento delle dimensioni in diverse linee evolutive. Secondo i ricercatori americani, 3 milioni di anni fa, alcuni cambiamenti climatici all’inizio dell’Era Glaciale, avrebbe aumentato la disponibilità di cibo nei mari. Come il krill che cetacei come le balenottere mangiano filtrando l’acqua grazie ai fanoni. Un’antica esplosione di abbondanza che avrebbe permesso l’evolversi di forme di gigantismo tra i cetacei. Le specie di balene più piccole si sarebbero gradualmente estinte, lasciando posto a giganti del mare.

Balenottere, più antiche di quanto si pensava

Ma il fossile di Giuliana ha fatto pensare agli studiosi di Pisa che il fenomeno del gigantismo fosse più antico di quanto già ipotizzato. Accanto ai fossili di balenottera, si sono così occupati dei resti di alcuni misticeti più antichi, risalenti a 10-15 milioni di anni fa e più piccoli, tra i 10 e i 17 metri. Con l’aiuto di modelli macroevolutivi, gli scienziati hanno perciò stimato che l’avvento delle grandi balene sarebbe stato più graduale. Sarebbe cominciato molto prima, forse 10 milioni di anni fa e nel tardo Miocene, 4,5 milioni di anni fa, dovevano già esserci balene grandi come le balenottere azzurre.

La colonna del tempo è su una scala di milioni di anni. I pallini rossi rappresentano i fossili studiati dai ricercatori. Crediti: Slater/Buell

Ma erano ancora poche, secondo gli scienziati, e al contrario le piccole balene erano la norma. Almeno fino, appunto, a 3 milioni di anni fa, quando crebbe il numero di specie giganti, soppiantando le altre. Specie che oggi abitano i nostri mari da tempo e che, per le loro dimensioni, hanno un ruolo importante nell’evoluzione degli ecosistemi marini. Corpi minacciati: come quello della balenottera azzurra, a rischio estinzione.

Riferimenti: Royal Society

Crediti immagine: NOAA Photo Library

Giancarlo Cinini

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