La botanica va a pennello

L’illustrazione naturalistica, quando tutto sembra debba essere riprodotto tramite la grafica computerizzata, continua a mantenere il suo interesse scientifico oltre che artistico.
Nel corso dei secoli sono cambiate le tecniche di raffigurazione ma la validità didattico-scientifica di questo tipo di riproduzione resta inalterata. Neanche l’immagine fotografica, che a prima vista sembrerebbe un’evoluzione nella rappresentazione delle specie vegetali (e animali) è stata in grado di sostituire l’illustrazione dipinta o disegnata.
L’avvento della macchina fotografica ha sì permesso di riprodurre i vegetali cogliendone aspetti che vanno al di là delle capacità della vista, così come la macchina da presa ha permesso di studiare il “comportamento” delle piante, ma dal punto di vista delle esigenze scientifiche lo strumento di lavoro più idoneo resta il disegno.
Il disegno botanico è infatti il mezzo migliore per sottolineare le caratteristiche essenziali e indispensabili per distinguere una pianta da un’altra, specie da specie, varietà da varietà. Le guide botaniche di cui si fa uso oggi per il riconoscimento di esemplari vegetali sono basate su disegni, e per la maggior parte in bianco e nero. Ma quale è l’origine dell’illustrazione botanica?
Le piante hanno sempre avuto, e ancora hanno, un ruolo tra arte e scienza poiché coinvolgono sia il senso estetico sia l’interesse scientifico a causa delle molteplici proprietà medicamentose e alimentari che possiedono. E proprio l’interesse ad approfondire le conoscenze sulle piante quali mezzi terapeutici ha indotto in varie epoche gli uomini di scienza ad osservarle con attenzione, a controllarne e a descriverne le connotazioni, a rilevare l’ambiente dove crescevano.
Nel Rinascimento, con l’affermarsi del metodo sperimentale e con la nascita delle scienze, la botanica si svincola dalla medicina e l’illustrazione della pianta dipinta dal vero diventa uno strumento insostituibile nella ricerca e nell’insegnamento della botanica.
L’immagine botanica è destinata ad una intelligente conoscenza della pianta considerata, soprattutto quando il campione vegetale non può essere utilizzabile allo stato fresco. L’illustratore rinascimentale diventa inoltre il tramite per una riorganizzazione in senso scientifico dell’enorme mole di sinonimi con cui si indicava una specie vegetale, e allo stesso tempo il divulgatore di specie che venivano portate in Europa da altri continenti. E sono proprio i nobili, principi o granduchi, finanziatori dei grandi viaggi, a commissionare a valenti pittori la raffigurazione delle piante rare provenienti da altri paesi e spesso coltivate nei loro giardini.
Tra gli artisti che nel panorama dell’illustrazione naturalistica europea cinque-seicentesca «propongono soluzioni tecniche e interpretazioni personalissime del mondo della natura» vi sonoJacopo Ligozzi e Giovanna Garzoni. Di Jacopo Ligozzi, pittore e disegnatore sotto i Granduchi Francesco I (1541-1587) e Ferdinando I de’ Medici (1549-1609), è conservata al Gabinetto delle Stampe e Disegni della Galleria degli Uffizi di Firenze una meravigliosa raccolta di tavole dipinte a tempera su cartone preparate con una vernice di gomma arabica. Fu Ulisse Aldrovandi, tra l’altro fondatore dell’Orto botanico di Bologna nel 1568, a introdurlo alla corte de’ Medici, affascinato dalla sua abilità nel riprodurre piante e animali, abilità che si esprime nella qualità dell’esecuzione, nel rigore scientifico e nella bellezza e sottigliezza dei colori.
Giovanna Garzoni (Ascoli 1600-Roma 1670), alla quale è stata dedicata una mostra tenutasi l’estate scorsa a San Severino Marche, dopo aver lavorato a Venezia, a Napoli al servizio del viceré spagnolo, a Torino alla corte dei Savoia, inizia negli anni quaranta del XVII secolo la sua collaborazione con i Medici.
Scrive Gerardo Casale nel saggio introduttivo a Gli incanti dell’iride: Giovanna Garzoni pittrice del Seicento, (Silvana editore, 1996) che la Garzoni “aveva conoscenza diretta delle opere di Jacopo Ligozzi ed in particolare alcune pergamene raffiguranti essenze vegetali sono tra quelle opere che più ne risentono. (…) Non vi è in lei un rigore scientifico al quale voler assoggettare la sua gioia di decorare, in cui debba costringere il suo senso estetico portato alla piacevolezza e a cercare il bello negli oggetti.» Al contrario di Ligozzi, che lavorò per Ulisse Aldrovandi e può essere considerato un “illustratore scientifico” la Garzoni inserisce dettagli aggiuntivi che nulla hanno a che vedere con l’essenza vegetale rappresentata. L’artista marchigiana era interessata anche all’aspetto piacevole e decorativo del soggetto: nel raffigurare per esempio una pianta di giacinto aggiunge quattro ciliegie, un carciofo e una lucertola.
La tecnica utilizzata in molte delle opere è quella della tempera su pergamena, cosa che ha posto non pochi problemi per l’organizzazione della mostra data la deperibilità del materiale, in gran parte conservato oltre che agli Uffizi, alla Galleria Palatina. Oltre a soggetti vegetali la Garzoni realizzò anche miniature di animali di cui è rimasto un solo esempio, un piccolo cane. Redigendo il testamento la Garzoni lasciò i suoi averi alla Accademia di San Luca di Roma “in beneficio di chi studia”. E si può immaginare che si riferisse sia a chi studia i segreti delle arti sia a chi studia i segreti delle piante.
Luca Massenzio Palermo prosegue ai giorni nostri, forse unico in Italia, la grande tradizione delle nature morte e delle illustrazioni scientifiche naturalistiche iniziata nel Cinque-Seicento. Palermo tra l’altro ha tenuto un corso di illustrazione botanica presso l’Orto Botanico di Roma e attualmente insegna Pittura botanica e Pittura naturalistica all’Università Popolare di Roma. Nell’introduzione del catalogo della sua ultima mostra (Galleria dei Greci 1996), Cesare Vivaldi lo definisce”un maestro dell’illustrazione botanica di oggi…non solo per la precisione scientifica con cui analizza piante e fiori in ogni loro particolare, ma soprattutto perché è un pittore.”
Anche un grande artista come Max Ernst ha voluto interpretare a suo modo, in pieno periodo surrealista, la tradizione dell’illustrazione naturalistica, pubblicando nel 1926 “Histoire Naturelle”, una serie di trentaquattro fogli in cui si possono identificare cinque gruppi, così distinti:

1) immagini con riferimenti cosmici o alla cosmogonia;
2) immagini di piante;
3) immagini di animali;
4) immagini antropomorfiche;
5) immagini della figura umana, con toni mistici.

Quello che interessa Ernst non è certo la rappresentazione realistica di animali e piante quanto la sperimentazione di nuove tecniche tra cui quella del frottage , una tecnica di disegno che consiste nello sfregare una matita su un foglio di carta posto sopra una superficie ruvida o con lievi sporgenze. Nel 1925 Ernst, descrivendo la sua scoperta, racconta come fosse nata dal fascino esercitato su di lui dalle venature dei pavimenti di legno. L’Histoire naturelle ed altri libri ed incisioni sono stati esposti alla Peggy Guggenheim Collection a Venezia (catalogo: Ruth Wurster (a cura di), Max Ernst: prints and books, The Lufthansa collections.)

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