La coscienza, ultimo baluardo della specie Homo

Agire con coscienza, mettersi una mano sulla coscienza, avere la coscienza sporca: sono solo alcune delle espressioni quotidiane con cui ci riferiamo a qualcosa che diamo per scontato ma che tanto scontato non è. Questo libro (Simone Gozzano, La coscienza, Carocci 2009, pp. 134, euro 10,00) in effetti parla di coscienza, ma l’autore alla coscienza sembra non crederci troppo. Esistono, ben inteso, degli stati di coscienza, delle modalità e dei fenomeni coscienti, ma la coscienza che cos’è? Simone Gozzano, professore di filosofia della mente all’Università dell’Aquila, prova a rispondere a questa domanda, guidandoci in un itinerario coinvolgente e sorprendentemente ricco di riferimenti.

Da Aristotele a Stevenson, dall’invasione degli ultracorpi allo stream of consciousness sono veramente molti gli spunti a partire dai quali siamo invitati a riflettere su ciò che nell’introduzione viene definito “l’ultimo baluardo della nostra specie”. Tuttavia, ciò che ci viene offerto non è un catalogo, quanto piuttosto un percorso che permette di familiarizzarsi con le tematiche più attuali sul tema in oggetto, mentre tra le righe di affaccia il sospetto che dietro una parola di uso tanto comune non ci sia nessuna entità sostanziale, ma piuttosto un concetto complesso e ricco di sfaccettature.

coscienza gozzano
Simone Gozzano
La coscienza
Carocci 2009, pp. 134, euro 10,00

La capacità di condensazione è uno dei maggiori pregi di questo snello volumetto, che in poco più di centoventi pagine riesce a concentrare gli snodi fondamentali di un dibattito quanto mai acceso, offrendone una panoramica multidisciplinare: per una volta scienze e filosofia sono alleate, non rivali. Altro pregio da non sottovalutare è la semplicità con cui idee e concetti non proprio facili da digerire vengono resi accessibili anche ai non addetti ai lavori. La piacevolezza della lettura incoraggia a seguire l’autore anche in terreni notoriamente ostici, che vengono tuttavia appianati dall’agilità dell’esposizione. Questo libro è uno strumento agile e prezioso per tutti, da consigliare soprattutto agli studenti di filosofia, psicologia e neuroscienze. Come già nel suo precedente testo sull’intenzionalità, infatti, l’autore da prova di saper sintetizzare in modo semplice, efficace e coinvolgente un tema che ha avuto un ruolo centrale nella storia delle idee. Il ritmo è scandito dalla suddivisione in quattro sezioni principali, che possono essere lette anche indipendentemente l’una dall’altra, ma che in realtà si integrano e si completano a vicenda.

La coscienza da Aristotele a Putnam

La prima parte, introduttiva, si sofferma sulle radici filosofiche dei problemi della coscienza, presentando intuizioni e interrogativi che pur risalendo a secoli addietro hanno un sapore di forte attualità. A Leibniz dobbiamo, per esempio, il paradosso della Terra Gemella, che più di recente è stato ripreso da Putman. Si tratta, in sostanza di questo. Immaginiamo che da qualche parte dell’universo ci sia un pianeta in tutto e per tutto uguale alla terra, dove vivono uomini che sono i nostri cloni esatti e che esibiscono pensieri e comportamenti identici ai nostri. Ebbene, in questo caso ci troveremmo in presenza di coscienze uniche oppure di coppie di coscienze separate? E’ una questione che mette in gioco l’essenza stessa dell’individualità, obbligandoci a rivedere il concetto d’identità e soprattutto, per quel che qui c’interessa, a interrogarci su dove sia in questo caso la coscienza. A Locke dobbiamo invece la prima formulazione moderna dell’argomento dello spettro invertito: se sia tu che io impariamo a chiamare “violetta” una violetta, ma davanti allo stesso fiore io mi formo l’idea di una violetta e tu di un fiorarancio non potremo in alcun modo renderci conto della diversità delle nostre sensazioni interne. In pratica se io vedo viola dove tu vedi arancio ma entrambi concordiamo sulla corrispondenza tra ciò che abbiamo sotto gli occhi e la parola “viola” allora non disporremo di nessun criterio per constatare che stiamo in realtà vedendo due colori differenti. Dobbiamo poi risalire ad Aristotele per trovare quella che è forse la più antica formulazione del bindig problem (problema del collegamento), ma per sapere di cosa si tratta vi rimando alla lettura.

Scacco matto alla coscienza

Nella seconda sezione incontriamo una serie di esperimenti sorprendenti che rappresentano le ultime frontiere nell’approccio neuroscientifico alla coscienza. Alcuni di questi sembrerebbero veramente dare scacco matto all’idea comune che abbiamo del soggetto umano e della sua libertà. La misurazione di Libet del potenziale di preparazione, per esempio, sembrerebbe convalidare la famosa ipotesi di William James secondo la quale non piangiamo perché siamo tristi ma siamo tristi perché piangiamo: l’attivazione nervosa che ci consente di compiere un’azione, infatti, viene prima della decisione che prendiamo di compierla. Ne siete sorpresi? Ma non finisce qui. Gli esperimenti di Roger Sperry e Michael Gazzaniga sul cervello diviso ci portano a chiederci se per caso ciascuno di noi non abbia due coscienze, una per ciascun emisfero. E c’è perfino chi, come Bayne, sostiene che in chi ha il cervello diviso la coscienza se ne vada a spasso da un emisfero all’altro. Le implicazioni più interessanti derivano però forse dalle esperienze delle mani amputate e delle mani di gomma. Lascio a voi la curiosità di scoprirle.

Filosofia e fenomenologia

La terza parte è forse la più densa dal punto di vista concettuale e si concentra su “Filosofia e fenomenologia”. L’impressione che se ne ricava è che lo spirito polemico con cui i filosofi si sono cimentati a confutare le teorie elaborate in altri campi sia stato prolifico di ipotesi e suggestioni che non sempre sono andate nella direzione auspicata dai loro autori. Per i filosofi, infatti, la preoccupazione principale sembra essere quella di difendere il terreno della coscienza come se si trattasse del proprio campo, rendendolo impermeabile agli attacchi del riduzionismo e del materialismo. Un compito certo non facile, e che ha riservato molte sorprese. E’ accaduto talvolta che la realtà superasse l’immaginazione. E’ il caso della sindrome di Cotard, che  porta a non sentire più le emozioni o determinate parti del corpo. I soggetti che ne soffrono sembrerebbero incarnare il concetto di zombie, con cui i filosofi indicano un individuo che agisce nello stesso modo di una persona normale ma che è del tutto privo di stati interni.

La provocazione di Dennet

Inverte la rotta la quarta parte, dedicata alle teorie rappresentazionali e al riduzionismo. Troviamo qui i rappresentanti di quella linea di pensiero secondo cui la coscienza andrebbe inserita nell’alveo dei fenomeni naturali. Lo schieramento si organizza in due fronti: quello delle analisi filosofiche e quello delle teorie neuroscientifiche. Tra le prime troviamo la proposta provocatoria di Daniel Dennett, che riprendendo un’espressione del ricercatore sull’intelligenza artificiale Olivier Selfridge caratterizza la coscienza come un pandemonio. Basta pensare la mente come un teatro cartesiano, ci incita il filosofo riduzionista. Occorre piuttosto riconcepire la coscienza come una struttura in cui molteplici versioni operano in maniera parallela, anziché settoriale, facendosi concorrenza per catturare la nostra attenzione. Si spiegherebbe cosi, senza necessariamente dover ricorrere all’inconscio, una caratteristica della mente umana che era già balzata agli occhi dei neuroscienziati e che sembra essere poco in sintonia con la nostra idea comune di coscienza, ossia la capacità di elaborare informazioni in maniera non consapevole. Chiudono la disamina le teorie di Edelman e di Tononi, che puntano sui concetti d’integrazione e di interazione.

Arriviamo alla fine del libro con il fiato corto: il tragitto è stato breve, ma intenso. Come succede con ogni libro autenticamente filosofico, abbiamo l’impressione di aver imparato molto ma di non saperne ancora abbastanza.

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