La fisica delle donne

Nonostante anni di battaglie il ruolo delle donne nel mondo della ricerca scientifica è tuttora marginale. Seppur brave e determinate, spesso vengono sottovalutate e devono lottare per acquisire visibilità in un universo che è ancora quasi esclusivamente maschile. Una recente ricerca condotta dalla Commissione europea ha mostrato che, sebbene i dati varino di Paese in Paese, in media in Occidente la percentuale delle donne che intraprende studi scientifici è piuttosto elevata, ma i numeri diminuiscono drasticamente con l’avanzamento della carriera: nonostante una partenza ottimale (il 52 per cento dei diplomi di scuola secondaria è conseguito da ragazze), le donne che si laureano in materie scientifiche sono il 25 per cento, solo il sette per cento delle ricercatrici occupa cattedre universitarie, e le donne membro di Accademie delle scienze sono un esiguo tre per cento. E cosa succede nel campo della fisica? La situazione non si discosta di molto dai trend generali. Anche per questo la settimana scorsa si è tenuta a Parigi la prima International conference on women in physics. Galileo ha intervistato Maria Antonietta Loi, ricercatrice presso il Cnr di Bologna, che ha partecipato all’incontro.

Dottoressa Loi da chi è stata organizzata la Conferenza?

“La conferenza è stata organizzata dal gruppo di lavoro Women in physics presieduto dalla ricercatrice brasiliana Marcia Barbosa e che comprende altri 11 membri provenienti da diversi Paesi. L’Italia è rappresentata da Elisa Molinari dell’Università di Modena e Reggio Emilia. I paesi rappresentati erano 67, per un totale di circa 300 persone”.

Quali gli aspetti più significativi discussi nell’ambito dell’incontro?

“Si è parlato della situazione delle donne in fisica nei diversi Paesi, ogni delegazione ha portato le proprie statistiche che hanno dato un’indicazione delle differenze regionali. Abbiamo ascoltato dalla viva voce delle protagoniste alcuni casi esemplari di discriminazione. Ricercatrici di tutto il mondo lamentano piccole o grandi disparità di trattamenti. Un esempio significativo è quello del prestigioso Massachusetts Institute of Technology (Mit) in cui le scienziate ricevono salari più bassi, spazi per laboratori minori e meno risorse a parità di traguardi professionali raggiunti con i colleghi maschi. Inoltre si sono formati piccoli gruppi di discussione che hanno affrontato diversi argomenti tra i quali: “attrarre le giovani in Fisica”, “bilanciare carriera e famiglia”, “portare le donne nelle strutture di potere della Fisica”.

Sebbene ci siano esempi di donne scienziate di notevole statura, nel passato come nel presente, la scelta della carriera scientifica da parte delle donne è molto recente…

“Non è semplice capirne il perché, e sicuramente esistono delle differenze notevoli da Nazione a Nazione. Ci sono comunque degli stereotipi culturali basati sullo scienziato uomo, e legati al ruolo delle donne nella società e a come vengono educate le bambine. Inoltre avere successo nella scienza equivale ad avere degli impegni gravosi e tempi di lavoro molto lunghi, e ciò viene considerato non conciliabile con famiglia e maternità”.

Cosa dicono le statistiche sulla situazione italiana?

“A livelli di dottorato e post dottorato nel nostro Paese le donne sono tra il 30 e il 40 per cento, mentre nelle posizioni permanenti le percentuali decrescono incredibilmente. I dati? Ricercatrici: 25,6 per cento. Associate: 15 per cento. Ordinarie: 4,9 per cento. Questo vale per le università, ma anche negli enti di ricerca come l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, l’Istituto Nazionale di Fisica della Materia, Cnr e l’Enea non si hanno percentuali significativamente superiori. Uno dei problemi più sentiti dalle giovani ricercatrici italiane è quello della precarietà del lavoro sino a tarda età che preclude o danneggia la vita sociale e familiare”.

Cosa sono i comitati per le pari opportunità in Italia?

“Recentemente, allo scopo di monitorare la presenza femminile nella ricerca scientifica e di garantirne un’equa rappresentanza, sono nati i Comitati per le pari opportunità (Cpo), costole della Commissione europea. Tali organismi devono esistere per legge sia nelle Università sia negli Istituti di ricerca pubblici dei paesi membri dell’Unione. Attualmente i comitati stanno raccogliendo dati, perché solo con i numeri in mano è possibile studiare attentamente il problema. Ma sono attivi anche in altro modo: per esempio il prossimo 4 giugno si svolgerà presso Cnr di Roma il primo convegno organizzato dal Cpo”.

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