La fisica entra in banca

Utilizzare gli strumenti di una scienza “dura” come la fisica per imbrigliare alcuni fra i fenomeni sfuggenti e imprevedibili del mondo economico. E’ l’idea che sta alla base di quell’insieme di tecniche e di ricerche che prende il nome di econofisica. Per fare il punto su questa disciplina, ormai in fase di consolidamento, si è tenuto la settimana scorsa al politecnico di Milano il workshop “Fisici in finanza”, promosso dal Network applicativo e industriale dell’Istituto Nazionale di Fisica della Materia, e coordinato da Rosario Mantegna dell’Università di Palermo. Il convegno prelude alla creazione in seno al Network dell’Infm di una rete dedicata proprio alle applicazioni dell’econofisica, sia pure nel contesto incerto dell’attuale situazione post-riforma Moratti, che vede l’Istituto riassorbito nel più vasto ambito del Cnr.Ma quali sono le dimensioni dell’impegno dei fisici in finanza? Per rispondere a questa domanda Mantegna, insieme ad Alberto Dupasquier, dell’Associazione Dottorandi e Dottori di ricerca italiani, stanno mettendo a punto un’indagine statistica. Secondo una prima stima, il settore assorbirebbe fra le 100 e le 200 persone, delle quali la metà provenienti da un’esperienza di dottorato di ricerca. “Bisogna tenere conto, però, che quello italiano è un mercato finanziario sottosviluppato”, ha affermato Renzo Avesani, di Intesa BCI di Milano. Infatti, sono tre o quattro all’anno i posti che si liberano per fare il lavoro di punta, in questo campo, quello di “ingegnere finanziario”.La contaminazione fra le due discipline non è un’idea nuova. Lo stesso Keynes, padre delle teorie economiche moderne, usava la meccanica classica come metafora per descrivere il mercato. Ma è nel contesto della fisica della materia moderna che si è chiarita l’analogia profonda fra sistemi fisici ed economici. Effettivamente, un mondo fatto d’innumerevoli agenti in relazione ora cooperativa, ora competitiva, è per certi aspetti molto simile ad alcuni sistemi naturali. Sistemi come quelli risultanti dalla materia aggregata in stato solido, liquido o gassoso, costituiti da numerosissime particelle interagenti. Negli uni e negli altri sistemi è impossibile una descrizione dettagliata e una previsione esatta, ma un’analisi statistica consente di rivelare comportamenti collettivi emergenti.”I fisici impiegati in banca non stanno davanti a una lavagna a fare calcoli”, ha chiarito Andrea Cosentini, del TradingLab di Milano, “la mescolanza di flessibilità mentale e rigore che li caratterizza viene sfruttata per sviluppare software, fare analisi quantitative e gestire grandi flussi di dati”. Ha puntualizzato Carlo Acerbi, dell’AbaxBank di Milano: “Anche quando vengono utilizzati strumenti della fisica tradizionale, non si prevede l’andamento del mercato come se fosse la traiettoria di una cometa. Al massimo si può fare “risk managment”, ovvero valutazione del rischio”. E non si tratta certo di un lavoro concettualmente povero. Gli strumenti utilizzati vanno dal calcolo delle probabilità alle equazioni differenziali, dal metodo di simulazione Montecarlo alle tecniche di discretizzazione al computer. “E’ un lavoro eccitante e deprimente, che richiede di utilizzare questi strumenti con grande rapidità, perché i tempi sono dettati dal mercato”, ha raccontato Francesco Rapisarda dell’IMI Sanpaolo di Milano, che lavora nel “front-office” ovvero nella sala-contrattazione della banca, dove si stabilisce il giusto prezzo delle opzioni.

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