La folle corsa

Sulle strade italiane non si muore solo il sabato sera. Ogni giorno 20 persone rimangono vittime di incidenti stradali e 55 rimangono ferite in modo grave. Cifre che moltiplicate per un anno intero significano 7.500 decessi, oltre 20mila invalidi, 150mila ricoveri ospedalieri e più di un milione e mezzo di individui che si recano al pronto soccorso. Detto in altre parole, utili per un confronto con l’Europa, in Italia 10 persone ogni 100mila abitanti perdono la vita sulla strada, un tasso non troppo distante da quello europeo che registra 12 morti ogni 100mila cittadini. Le cifre sono il risultato, rispettivamente, delle indagini dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) e del nuovo rapporto sulla prevenzione degli infortuni stradali presentato a Parigi dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) in occasione della Giornata mondiale della sicurezza stradale, indetta ieri 7 aprile. “È come se ogni giorno nell’Unione Europea cadesse un jumbo, uccidendo 350 persone”, ha affermato Roberto Bertollini, direttore tecnico dell’Ufficio europeo dell’Oms, “e questo, purtroppo, non è ancora ritenuto qualcosa di inaccettabile, perché viene considerato alla stregua di una fatalità”. Che, Kofi Annan, segretario generale delle Nazioni Unite ha definito, invece, “una tragedia dell’umanità”, capace di provocare 1,2 milioni di morti l’anno in tutto il mondo, superando addirittura le vittime dell’Aids, della tubercolosi e delle malattie cerebrovascolari.Il nemico numero uno della guida è, senza dubbio, la velocità. Gli esperti dell’Oms hanno calcolato che l’impatto con un’automobile che va a 30 chilometri orari permette al pedone di sopravvivere nel 90 per cento dei casi, probabilità che si abbassa al 50 per cento se la velocità aumenta di poco, raggiungendo i 45 chilometri all’ora. Seguono, poi, altri fattori killer quali l’uso di bevande alcoliche e di droghe, il mettersi alla guida quando ci si sente stanchi, il non rispettare neanche le più elementari regole di sicurezza, come per esempio mantenere la giusta distanza dal veicolo che precede e diminuire la velocità in caso di asfalto bagnato o ghiacciato.”È difficile stabilire con certezza se l’uso del telefono cellulare da parte del conducente possa concretamente provocare un incidente”, afferma Franco Taggi, dell’Iss, “ma, di sicuro, il telefonino, anche se usato correttamente, vale a dire col viva-voce o con l’auricolare, è fonte di distrazione e, quanto più impegnativa è la conversazione, tanto più aumenta il carico di lavoro mentale”. Un problema, destinato ad aggravarsi, secondo il ricercatore, con l’arrivo sul mercato dei cosiddetti videofonini. A scapito soprattutto dei giovani che già ora costituiscono il gruppo più vulnerabile. Nel nostro paese, un terzo delle morti per incidenti stradali è avvenuto, infatti, negli ultimi 30 anni, a danno dei ragazzi tra i 15 e i 29 anni, e la gran parte di coloro che oggi si trovano in riabilitazione per trauma cranico o spinale appartiene a questa fascia di età. Le cose non vanno meglio con i più piccoli, visto che 170 bambini (0-14 anni) muoiono ogni anno sulle strade d’Italia. Molti meno, comunque, degli anni passati. “Se nel 1969 su 100mila bimbi morti, 8 decessi erano causati dai traumi della strada”, spiega Taggi, “oggi se ne contano solo 2, ben il 75 per cento in meno. Ma neanche quelle 2 giovani vite stroncate sono accettabili”. Per questo, l’Iss ha elaborato un decalogo per la sicurezza del bambino, ovvero una guida che suggerisce ai genitori come proteggere i piccoli in auto, in moto, in bicicletta e a piedi. “La prevenzione”, conclude Bertollini, “deve passare attraverso azioni congiunte tra le istituzioni, le industrie e, in generale, i fornitori di servizi, nonché da un’aumentata consapevolezza da parte dei singoli degli effetti sulla salute degli infortuni stradali e, quindi, dal comportamento più responsabile dei conducenti”. Occorre che le autorità preposte “sviluppino politiche di trasporto e uso del territorio che riducano il rischio di incidenti stradali, progettando a tale scopo la viabilità, ma anche aumentando la resistenza dei veicoli all’impatto, la protezione per guidatori e passeggeri dentro e fuori i veicoli e predisponendo in tempi rapidi, non appena avvenuto il trauma, efficaci cure mediche e sanitarie”. Senza trascurare il controllo dell’applicazione delle regole per la sicurezza stradale. A questo proposito, la famigerata patente a punti ha già prodotto, in otto mesi di applicazione, i primi, tangibili, risultati: oltre 20mila incidenti evitati, 537 vite salvate e circa 18mila feriti in meno, rispetto agli stessi otto mesi (febbraio-luglio) dello scorso anno, secondo quanto attestano le stime della Polizia stradale relative alle autostrade, alle strade statali e provinciali. Dove, in genere, si corre di più.

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