La legge affonda

Quattro su cinque. Così ha deciso oggi la Corte Costituzionale sull’ammissibilità dei quesiti referendari abrogativi della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, promulgata il 19 febbraio scorso. Non supera l’esame il quesito di abrogazione totale proposto dai Radicali Italiani e dall’Associazione Luca Coscioni, mentre hanno via libera gli altri quattro di abrogazione parziale. Tre di questi mirano a cancellare quei passi della legge che vietano la fecondazione eterologa, che limitano la ricerca sugli embrioni e non tutelano la salute della donna, mentre il quarto chiede l’abrogazione dell’articolo 1, che sancisce i diritti del concepito. Sono serviti a poco, dunque, gli interventi in camera di consiglio dei sette comitati antireferendari schieratisi al fianco del governo nella tutela della legge.

“L’ammissibilità del nostro quesito di abrogazione dell’articolo 1 sui diritti del concepito fa venir meno l’impianto ideologico stesso della legge”, commenta l’onorevole Maura Cossutta di Rifondazione Comunista. “Riconosciamo il valore dell’embrione ma i suoi diritti non possono prevaricare quelli della donna, la cui libertà di scelta e la cui salute non vanno messe in discussione”. Meno contenti i radicali, che comunque esprimono pieno sostegno ai quesiti abrogativi parziali, dei quali sono stato co-promotori. Una vittoria giunta in anticipo, dunque, che apre una seconda fase della battaglia referendaria. L’unica possibilità che ora il governo ha di bloccare il referendum, infatti, spiega il senatore Ds Lanfranco Turci, è accettare le modifiche alla legge previste dai quattro quesiti.

Ma la battaglia contro la legge 40 si combatte anche sul fronte delle linee guida emesse dal Ministero della Salute per indicare a medici e operatori della sanità come mettere in pratica la norma. Il documento infatti è stato impugnato presso il Tar del Lazio, come hanno annunciato oggi i rappresentanti del Comitato “No alla legge 40” riuniti presso sala stampa di palazzo Montecitorio. A farlo Ivana e Roberto con il sostegno di varie associazioni di tutela dei malati e delle coppie infertili. Esse, infatti, con una ulteriore interpretazione restrittiva della legge, impediscono la diagnosi pre-impianto ammettendo solo quella osservazionale. Inutile però per la coppia: lei affetta da anemia drepanocitica, lui portatore sano di talassemia, hanno una probabilità del 50 per cento di trasmettere la malattia a un figlio. Un secondo ricorso contro le linee guida è stato presentato da tre centri di medicina della riproduzione (Demetra di Firenze, Cerva di Milano, Hera di Catania), sostenuti dalla Società Italiana di fertilità, sterilità e medicina della riproduzione (Sifes). “Ci sono diversi punti di contrasto tra la legge e le linee guida”, spiega Maria Paola Costantini, avvocato del Foro di Roma e consulente dell’Associazione Madre provetta. “Invece di dare indicazioni e chiarimenti, le linee rendono più complicata la comprensione della legge”.

Il testo, infatti, oltre a essere stato redatto da una commissione scelta autonomamente dal ministro senza avvalersi dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) come invece previsto dalla legge, vieta ogni diagnosi pre-impianto salvo quella osservazionale, che però non fornisce informazioni sul corredo cromosomico ma solo sulle anomalie nell’aspetto e nello sviluppo. “Tutto il resto è considerato eugenetica. Così la donna è costretta a portare avanti la gravidanza e ricorrere in seguito a un’interruzione. La legge invece non vieta l’analisi genetica”, continua Costantini, “Inoltre nelle linee guida si dice che il trasferimento dell’embrione non è coercibile, mentre nella legge troviamo l’obbligo di trasferimento tranne casi di forza maggiore relativi alla salute della donna”.

I contrasti non finiscono qui. Mentre la legge vieta e sanziona con la reclusione fino a tre anni e multe da 50 mila a 150 mila euro la soppressione degli embrioni non trasferiti, le linee guida la ammettono. Stessa confusione sulla crioconservazione in attesa di impianto, consentita nelle linee guida e sanzionata invece nella legge. “Oltre a ledere le libertà fondamentali degli individui, le linee guida hanno effetti pesanti sulla deontologia professionale”, conclude Antonino Guglielmini, dottore del centro Hera di Catania, “I medici sono semplici esecutori di norme, costretti a trasferire embrioni anche se malati nonostante possa nuocere alla salute della donna, andando contro ogni etica professionale”.

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