La mappa svela i suoi misteri

Dopo poco più di sei mesi dall’annuncio dell’avvenuta mappatura del genoma umano – che fece il giro del mondo e scomodò non solo scienziati ma eminenti politici e uomini di pensiero – giovedì prossimo, in edicola e sul web, si alzerà il velo di mistero sul contenuto del genoma. L’avvenimento, annunciato oggi da una serie di conferenze tenute in tutto il mondo, ha come protagonisti da una parte Craig Venter, scienziato-padrone della Celera Genomics impresa privata che partecipa alla corsa al genoma umano, dall’altra lo Human Genome Project, consorzio di laboratori universitari le cui ricerche sono state finanziate con fondi pubblici. Entrambi sveleranno dopo mesi di speculazioni cosa hanno davvero visto analizzando la sequenza del genoma umano. I due rivali della genetica si affrontano anche questa volta su due sponde contrapposte: Venter ha scelto per pubblicare i suoi risultati il settimanale americano Science, il consorzio pubblico ha optato per l’analoga pubblicazione britannica Nature.

Entrambe le testate hanno dedicato all’avvenimento un numero speciale dove si trovano decine di articoli specializzati che prendono in considerazione diversi aspetti della mappatura. In più il materiale nell’uno e nell’altro caso sarà disponibile anche in rete agli indirizzi rispettivi dei giornali. All’indirizzo di Science i ricercatori accademici e commerciali (stipendiati cioè dalle aziende) potranno accedere alle informazioni e inserire a loro volta i loro studi e ricerche. Un’apertura considerevole da parte di Venter, contrario in un primo momento a condividere con la comunità scientifica le sue scoperte. Meno clamore, invece, per la pubblicazione dei risultati ottenuti dall’HGP, il cui lavoro è basato proprio sullo scambio di dati fra laboratori.

Il primo dato eclatante che emerge dal lavoro dei due team (la cui accuratezza è al 99,96 per cento) è che il numero di geni contenuto all’interno del genoma umano è relativamente basso – soprattutto se paragonato a quello di esseri viventi estremamente meno complessi dell’essere umano, come il moscerino da frutta di cui si conosce l’intero patrimonio genetico. Il risultato appare chiaro: i geni umani sarebbero “solo” 30 mila. Questo, scrivono alcuni dei ricercatori chiamati a commentare da entrambi i lati, dovrà far ripensare la concetto di complessità. In più, il genoma sembra caratterizzato da vaste zone “desertiche”, in cui cioè sono pochi i geni codificatori di proteine. All’incirca un quarto dell’intero patrimonio genetico umano è in queste condizioni, mentre circa il 35 per cento contiene sequenze ripetute di cui ancora si ignora la funzione. Come se non bastasse ogni genoma contiene circa 2, 1 milioni di variazioni genetiche. Insomma un universo ancora da interpretare. Soprattutto se si pensa che ogni essere umano condivide con gli altri il 99,9 per cento del patrimonio genetico e quindi che la variazioni, per noi a volte così evidenti, rappresentano solo lo 0,01 per cento dell’intero patrimonio.

E fin qui sembrano essere tutti d’accordo. Dove si nota la discrepanza è invece sul metodo che ha portato al disegno della mappa. Al di là dei tecnicismi (sulle pagine di Nature sono descritti almeno cinque modi diversi con cui si è arrivati a fare la mappa di diversi cromosomi), l’articolo di Science che mette a confronto le due mappe conclude che la differenza è quantificabile in un 36 per cento, ma che sono fra loro complementari. Vale dire che a seconda di quello che si cerca a volte risponde meglio una, a volte l’altra. Spostandosi dal generale al particolare scopriamo articoli dedicati a singoli cromosomi, come l’Y, fonte delle variazioni genetiche legate all’evoluzione della specie. Sempre su Nature, insieme al cromosoma Y, si analizzano i telomeri, le parti finali dei cromosomi, indicatori importanti dell’invecchiamento cellulare. I ricercatori hanno scoperto che anche il Dna contenuto in questi lembi finali contiene geni importanti, meritevoli in futuro di essere studiati a fondo.

Territorio comune alle due ricerche è lo studio dei polimorfismi di un singolo nucleotide (SNP), quelle cioè che dipendono da una sola base. Tracciare la mappa di queste variazioni semplici permetterà di studiare caratteri genetici più complessi che scatenano malattie come il diabete e le malattie cardiovascolari. Speranze si aprono anche per lo studio del cancro, anche se la complessità della malattia non garantisce in tempi brevi l’individuazione univoca dei geni responsabili della malattia. Ne parlano entrambi i documenti negli stessi termini. Il problema si concentrerebbe nelle parti del genoma dove ferve l’attività di espressione dei geni chiamate RIDGES (Regions of Increased Gene Expression) intervallate da altre dove invece questa attività è meno frenetica. Ora dal confronto fra frammenti di Dna malati e sani i ricercatori hanno potuto notare che, nei campioni malati, i geni di queste zone sono sovrapposti o silenziati. È qui che bisognerà puntare l’attenzione.

Tante quindi sono le informazioni che si evincono dalle pagine che Science e Nature dedicano al genoma umano. Che biologi, genetisti, ma anche politici, potranno finalmente leggere e studiare. Tra queste anche quella che ci parla di 223 geni nel genoma umano che provengono da batteri, lasciati lì nel corso dell’evoluzione. O ancora quella che afferma essere possibile per due persone che hanno la pelle di colore diverso di condividere più geni di quanti ne hanno in comune due persone più simili esteriormente. Insomma da una parte la genetica ha ancora molto da insegnarci, dall’altra tutti siamo investiti, e rendere pubblici i dati va proprio in questa direzione, della responsabilità di svelare il segreto del “codice della vita”.

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