Categorie: AmbienteSalute

La plastica finita in mare minaccia la catena alimentare

La plastica che inquina mari ed oceani minaccia la catena alimentare dell’ecosistema marino. Spezzettata dagli agenti atmosferici in particelle micrometriche, o microplastica, può infatti essere ingerita dal plancton e poi diffondersi in tutto l’ecosistema marino attraverso gli animali che di esso si nutrono. La conferma di questo drammatico scenario arriva da uno studio del Finnish Environment Institute (SYKE), finanziato dall’Ue nell’ambito del progetto Gesreg (Good Environmental Statuts Trough Regional Coordination and Capacity Building), pubblicato su Science Direct.

La microplastica è composta da particelle di diametro inferiore ai cinque millimetri, provenienti per la maggior parte dal disfacimento di rifiuti, buste e contenitori r rottami vari che sempre più numerosi finiscono la loro carriera nei mari. Esistono però anche altre fonti di queste sostanze inquinanti: “Le particelle di microplastica possono finire in mare attraverso gli scarichi industriali, o le acque reflue provenienti dai centri abitati”, spiega Outi Setälä, ricercatore del Finnish Environment Insitute che ha coordinato lo studio. “Molti prodotti commerciali, come le creme per la cura della pelle o i dentifrici, oggi contengono ad esempio microscopiche particelle di plastica utilizzate a scopo abrasivo”.

Si tratta di sostanze nocive per gli ecosistemi marini, di cui però si conoscono ancora poco gli effetti a lungo termine. A spaventare gli scienziati, in particolare, è il fatto che alcuni degli organismi che compongono il plancton sembrano incapaci di distinguere la microplastica dalle particelle di materiale organico che compongono la loro dieta naturale. Il rischio è che le particelle sintetiche si accumulino anche nell’organismo degli animali che si cibano di plankton.

Per scoprirlo, i ricercatori finlandesi hanno raccolto campioni di zooplancton in diverse zone del Mar Baltico, decisi a studiare in laboratorio se la microplastica fosse in grado di “viaggiare” all’interno della catena alimentare. Hanno quindi nutrito i microscopici organismi con delle sfere di polistirolo fluorescente micrometriche (10 micrometri di diametro), dandoli poi in pasto a dei crostacei, verificando così che il polistirolo si accumulava anche all’interno del loro organismo.

I ricercatori hanno anche misurato i livelli di microplastica presenti nell’acqua marina. I risultati definitivi arriveranno l’anno prossimo, ma dai primi dati sembra che nei mari del Nord sia presente circa una dozzina di particelle di microplastica per litro di acqua. Potrebbero sembrare poche, ma bisogna ricordare che non c’è modo di eliminare queste sostanze una volta che hanno raggiunto le acque, e che impiegano un tempo lunghissimo per degradarsi naturalmente.

“Le particelle di plastica hanno le stesse dimensioni del cibo naturale di molti animali: il rischio è che si accumulino nella catena alimentare degli ecosistemi marini”,  conclude Outi Setälä. “Se non interverremo presto per fermare l’accumulo di microplastica nei mari, si assisterà probabilmente alla nascita di un nuovo problema ambientale”. 

Riferimenti: Science Direct http://dx.doi.org/10.1016/j.envpol.2013.10.013

Credits immagine: zanzibar/Flickr

Simone Valesini

Giornalista scientifico a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. Laureato in Filosofia della Scienza, collabora con Wired, L'Espresso, Repubblica.it.

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