La sindrome Di Bella

Il “caso Di Bella”, che tanto appassiona l’opinione pubblica italiana, ha registrato una nuova puntata. Le ultime notizie in arrivo dal Ministero della Sanità raccontano dell’istituzione di una Commissione coordinata da Umberto Veronesi, direttore dell’Istituto Europeo di Oncologia, e Lorenzo Tomatis, direttore dell’Istituto Oncologico Garofalo di Trieste, e di cui fa parte, oltre allo stesso Luigi Di Bella, persino il Nobel italiano Renato Dulbecco, padre del progetto Genoma Umano. Scopo del gruppo di esperti, verificare il protocollo messo a punto dall’oncologo modenese: un trattamento anticancro che comprende, tra le altre sostanze, anche la famosa somatostatina.

La cura attuale del cancro, osserva Luigi Di Bella nel libro “Non morirai di questo male, segue “le linee guida dei protocolli ufficiali…, alieni dal complesso e glorioso intuito clinico che rese giustamente famosi alcuni indimenticabili clinici nostrani”. Per fortuna, l’oncologo non è nella scomoda posizione di generali dal celeberrimo intuito militare come Napoleone prima di Waterloo o il comandante Rommel alle prese col maresciallo Montgomery. Il medico può contare sulla propria e sull’esperienza di altri medici che hanno affrontato lo stesso problema prima di lui. La cura di un cancro non è una battaglia che si combatte ogni volta per la prima volta.

In ogni caso, scoprire una nuova cura antitumorale efficace è un affare troppo complesso per presentare come prova a favore solo l’esperienza personale. Dietro alla penicillina, alla pillola o al vaccino antipolio, ci sono “assolo” promettenti dei padri rispettivi, ma anche cori polifonici, tutti “andante con brio”. Del resto, questa Di Bella non è la prima – e non sarà neanche l’ultima – vicenda in cui qualcuno parla dell’esperienza personale di un rimedio efficace per un male antico e desolante.

Negli Stati uniti i metodi non convenzionali per la cura del cancro sono monitorati di continuo da organismi come il National Cancer Institute, la Food and Drug Administration, l’organismo di controllo sui farmaci, persino dall’Office of Technology Assessment, un ente di valutazione di prodotti tecnologici di ogni genere. Il problema, come al solito, è vedere se e quando un metodo funziona e con quali rischi per il malato. Quello che segue è solo un piccolo campionario dell’offerta terapeutica non convenzionale dove sventola la bandiera a stelle e strisce.

La cosiddetta terapia immunostimolante è stata ideata dal biologo statunitense Lawrence Burton che l’ha adottata, prima, nel suo studio a New York, in seguito in una clinica alle Bahamas, l’Immunology Research Centre. La cura prevede trasfusioni quotidiane di sangue o di suoi componenti, per tutta la vita. Della cura si sono occupati diffusamente i mezzi di informazione, anche quelli – come Penthouse – che di solito danno poco spazio ai trial randomizzati in doppio cieco. In ogni caso la Food and Drug Administration e il National Cancer Institute hanno sottolineato che mentre mancano indizi della sua utilità, la cura presenta il rischio di infezioni virali, per esempio di epatite o Aids.

La dottoressa Virginia Livingstone-Wheeler sostiene che il cancro è dovuto a un microbo al quale ha dato un nome che sembra uscito da una sceneggiatura di Spielberg, Progenitor cryptocides. La cura è a base di un vaccino contro il microbo, preparato ad hoc per ogni paziente, con l’aggiunta di antibiotici, enzimi e una dieta ipocalorica. In ogni caso, una commissione californiana formata da nove oncologi e cinque rappresentanti dei consumatori ha concluso che la cura è inefficace.

Le antitossine sintetiche di Kock (malonide, gliossilide e parabenzochinone) sono state sviluppate dall’omonimo dottore californiano allo scopo di distruggere le tossine ritenute responsabili della crescita del tumore. La terapia risale agli inizio degli anni Quaranta, e a nulla sono valse le dichiarazioni di organismi ufficiali per scoraggiarne l’uso.La versione attuale della medicina olistica – la cui nascita risale in qualche modo addirittura a Platone – sottolinea la necessità di considerare il malato come un’entità unica fatta di più componenti – corpo, mente, emozioni e spirito. I suoi assertori usano miscele di prodotti diversi, in ogni caso sottolineandone l’utilità e l’innocuità. Non è mai stata dimostrata l’utilità in modo convincente.

La terapia di Gerson fu ideata dal dottor Max Gerson nel 1959 in base all’idea che un’alimentazione naturale può restituire al corpo la capacità difensiva persa dopo anni di alimentazione artificiale e insana. La cura è a base di frutta fresca e vegetali con l’aggiunta di minerali, vitamine, estratti tiroidei e succo fresco di fegato di vitello. Il National Cancer Institute statunitense, nel sottolineare che un’alimentazione corretta ha un ruolo fondamentale nella prevenzione dei tumori, nega che qualsiasi forma di terapia alimentare basti da sola a curare la malattia.

Anche se i teorici alternativi continuano a sostenere il contrario, non è vero che le industrie e l’establishment medico si rifiutino di sperimentare prodotti che non siano usciti dai laboratori industriali. Nel corso del tempo sono stati provati più di 3000 prodotti di origine vegetale. Non tutti utili allo stesso modo. Per esempio, nel 1942, dopo la scoperta che una sostanza di origine vegetale – la podofillotossina – aveva capacità anticancro, studiosi del National Cancer Institute condussero esperimenti sugli animali con risultati promettenti. Ma quando fu la volta dell’uomo, si vide che il farmaco era troppo tossico. Negli anni Sessanta, si ottenne in laboratorio una versione modificata della sostanza, l’etoposide, potenzialmente più utile. Le ricerche sui malati confermarono il fatto e la Food and Drug Administration riconobbe che il farmaco era efficace nella cura di alcuni tumori maligni (linfoma non Hodgkins, leucemia non linfocitica e microcitoma del polmone).

Due dei farmaci antitumore più usati – la vincristina e la vinblastina – sono componenti di una pianta, la Vinca Rosea, comunissima nella boscaglia e sotto le siepi. Usati all’inizio in Madagascar per curare il diabete, si è scoperto negli anni Cinquanta che potevano curare i tumori animali. Sperimentati sull’uomo, si sono dimostrati utili nella cura della leucemia acuta infantile e nella malattia di Hodgkins, un tumore del tessuto linfatico.Attualmente si cercano nelle piante altri prodotti utili contro il cancro. E in qualche caso sono già in corso ricerche sperimentali sugli animali. Se si è fatto ricorso a singoli ingredienti anziché al prodotto intero – alla pianta intera – è solo perché questo ha un’azione meno pronta ed efficace.

Nell’insieme, le terapie farmacologica, chirurgica e radiologica hanno permesso passi in avanti significativi anche se i risultati non sono gli stessi su tutti i fronti. In caso di cancro al polmone, per esempio, nel 1960 una persona aveva otto probabilità su 100 di sopravvivere cinque anni. Nel 1990 era salita a 14, molto poco comunque. In certe leucemie, al contrario, la terapia attuale garantisce a 80 persone su 100 di arrivare a cinque anni dopo. Sono cure fastidiose per la persona, e impegnative, ma hanno aumentato il numero di persone per le quali in cancro è solo un brutto ricordo. Anche grazie alla chemioterapia il cancro è l’unica malattia cronica dalla quale si può guarire una volta per tutte.

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