La strategia dell’invasore

Alcuni le chiamano aliene, altri le definiscono semplicemente invasive. Sono specie animali e vegetali che arrivano da paesi lontani e che si stabiliscono con successo in altre parti del globo. Pesci, insetti e mammiferi, ma anche piante, alghe marine e microbi che, crescendo a dismisura sia di taglia che di numero, diventano una vera e propria minaccia per gli ecosistemi e per molte attività umane. Diverse le ipotesi che hanno cercato di dare una spiegazione scientifica a questo fenomeno. Tra queste quella più accreditata è quella dell’”enemy release” secondo cui il successo dell’invasore è dovuto alla mancanza di nemici nel nuovo ambiente. Ma finora questa teoria era stata provata solo su casi singoli: mancava uno studio allargato che potesse ergere la semplice ipotesi a vera e propria teoria scientifica. Vuoto che adesso viene colmato da due studi apparsi sull’ultimo numero di Nature. Il primo è a firma di Mark Torkin e dei suoi colleghi dell’università della California di Santa Barbara ed è stato condotto su 26 specie animali considerate invasive, l’altro, che invece ha preso in considerazione 473 specie vegetali provenienti dall’Europa e naturalizzate negli Stati Uniti, è stato condotto da Charles Mitchell e Alison Power della Cornell University di Ithaca, nello stato di New York. “Si tratta di due meta-analisi che uniscono i risultati di lavori pubblicati in precedenza con le informazioni ottenute tramite ricerche su banche dati. Il risultato che emerge dai due studi è che le specie invasive hanno una caratteristica in comune. E cioè quella di avere un minor numero di parassiti in grado di infestarle. Inoltre sembra che i singoli individui siano più resistenti all’attacco di virus, funghi e nematodi rispetto a quelli che si trovano nel loro habitat naturale”, ha dichiarato a Galileo Keith Clay, biologo dell’Università dell’Indiana e autore del commento che accompagna le due pubblicazioni.Professor Clay, quanto è diffuso il fenomeno dell’invasività biologica e quali sono le sue principali conseguenze?”Il numero delle specie aliene continua a crescere in tutto il mondo, soprattutto a causa dell’aumento degli scambi commerciali a carattere internazionale e dei viaggi intercontinentali. Per la biodiversità del pianeta rappresenta un problema che è secondo solo alla perdita degli habitat naturali. Inoltre la presenza di specie invasive costituisce una minaccia anche per l’economia di una determinata area, a causa delle sue conseguenze sull’agricoltura e l’allevamento. Anche la salute umana è a rischio a causa di agenti patogeni che arrivano da altre aree del mondo. Basti pensare al virus del Nilo, l’agente della febbre del Dangue, e lo stesso Hiv”.Se questa tendenza dovesse continuare, quali potrebbero essere le conseguenze a distanza di dieci, vent’anni da adesso?”Uno scenario possibile è quello di una flora e di una fauna omogenee su tutta la Terra, con alcune specie dominanti particolarmente forti ed aggressive. In altre parole in India o in Indiana ci potrebbero essere gli stessi ratti, le stesse erbacce e tutte quelle specie compatibili con quel determinato clima”.Quanto nel fenomeno delle specie aliene è dovuto a normali eventi naturali e quanto invece è dovuto all’ intervento umano?”Su larga scala possiamo dire che l’essere umano è virtualmente responsabile di tutte le invasioni. Molti animali migrano durante il loro ciclo vitale, sia per cercare fonti di cibo migliori, che per trovare un partner o nidificare. Ma quello di cui stiamo parlando adesso è principalmente il risultato del trasferimento e del rilascio di organismi viventi per opera degli esseri umani, sia accidentale che deliberato. Molte delle invasioni iniziano con un numero molto piccolo di individui che colonizzano un’area, oppure può avvenire per mezzo di strutture dormienti, capaci di resistere a condizioni ambientali estreme, come spore, semi e uova”.I risultati a cui giungono gli studi pubblicati su Nature, indicano un modo possibile per fronteggiare questo problema?”La prova che praticamente tutte le specie invasive condividono la caratteristica di avere un carico parassitario ridotto ci indica una via possibile: quella del controllo biologico. Sicuramente gli sforzi e le ricerche devono andare in questa direzione. Bisognerebbe cercare di aumentare il numero dei nemici delle specie pericolose per mantenere la loro crescita demografica sotto controllo. Allo stesso tempo sarebbe necessario assicurarsi che quando vengono introdotte in un nuovo ambiente gli organismi si portino dietro i loro parassiti. Purtroppo però questo è in contrasto con tutte le politiche governative sull’introduzione delle specie potenzialmente pericolose”.

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