Categorie: Società

L’accesso a Internet è un diritto

Cresce la necessità di estendere la tutela della libertà di espressione alla rete, in modo da far fronte al preoccupante aumento della discriminazione e della censura online. Questa la denuncia che arriva da un rapporto sullo stato della repressione su Internet presentato all’Assemblea generale dell’Onu da Frank La Rue, esperto indipendente del Consiglio sui diritti umani.

Il web rientra già a pieno titolo tra i mezzi d’informazione il cui libero accesso è sancito dall’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Tuttavia, dal rapporto di La Rue sono emersi dei dati allarmanti: negli ultimi anni, infatti, sono aumentate le forme di violenza e repressione illegittime esercitate da parte di regimi autoritari e monopoli privati ai danni dei due miliardi di utenti connessi a internet.

Le misure restrittive che limitano la libertà di espressione sul web vengono spesso invocate dagli Stati con il pretesto di contenere l’insorgenza di movimenti terroristici. In questo modo, i blocchi e i filtri a internet vengono imposti dai governi facendo ricorso a leggi fuori dall’ordinario, ovvero dei provvedimenti che azzerano i diritti civili per perseguire un’idea di ‘sicurezza nazionale’ alquanto distorta. “In molti Stati, la libertà di espressione online viene ancora criminalizzata” – ha spiegato La Rue – “e lo dimostra il fatto che nel 2010 siano stati imprigionati più di 100 blogger. I governi, inoltre, fanno ricorso a tecnologie sempre più sofisticate per bloccare contenuti del web e monitorare e identificate attivisti e dissidenti politici”.

Proprio per combattere questo crescente ricorso a norme liberticide, il rapporto La Rue ha invocato la necessità di ridurre al minimo gli atti di censura tout court sul web. Le uniche eccezioni dovrebbero essere regolate in base a norme internazionali che mirino a punire e contrastare episodi di conclamata gravità. Si parla quindi di perseguire casi di pedopornografia, grave diffamazione e istigazione all’odio razziale e al genocidio.

Non mancano, poi, importanti riferimenti di La Rue al ruolo dei privati nella gestione dei contenuti online. Secondo il rapporto, aziende come Google, Facebook o i gestori del traffico online non dovrebbero mai avere il potere di censurare la libertà di espressione dei propri utenti. Tutti i loro interventi dovrebbero essere, cioè, legittimati da una decisione giudiziaria indipendente dai poteri politici.

Nonostante tutto, non sempre la legge è dalla parte dei cittadini. Due paesi democratici come Francia e Inghilterra hanno recentemente approvato delle leggi che consentono di sospendere per un anno la connessione a Internet a tutti coloro che scaricano musica e film da siti pirata. Una decisione forse eccessiva che, nel tutelare i diritti d’autore di un privato, arriva a punire i cittadini limitandone la libertà di espressione.

Come hanno dimostrato le rivoluzioni nel Maghreb, il web è diventato il primo mezzo di comunicazione attraverso cui le persone possono ancora esprimere liberamente le proprie opinioni. I servizi di social networking hanno permesso di bypassare i canali di informazione controllati e filtrati dai regimi autoritari, dando così voce agli oppressi. Dall’altra parte c’è, invece, il caso della Cina, dove Google aveva accettato di censurare molti dei contenuti visualizzabili sul suo motore di ricerca.

Proprio per questo motivo, secondo La Rue, la tutela della libertà di espressione non può essere lasciata nelle mani dei privati e l’accesso a Internet dovrebbe diventare, a tutti gli effetti, un diritto inalienabile dell’uomo, come già è stato sancito da paesi come Finlandia, Estonia e Costa Rica.

Lorenzo Mannella

Si occupa di scienza, internet e innovazione. Laureato in Biotecnologie presso l'Università di Pisa, ha frequentato il master SGP in comunicazione scientifica presso Sapienza Università di Roma. Collabora con Galileo dal 2011. Scrive per Wired, Sapere e L'Espresso.

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