L’agonia della scienza

“Utilizzare la ricerca e l’innovazione come fonti di vantaggio competitivo nell’era della globalizzazione”. È questo, in sintesi, il programma proposto dal governo nelle Linee guida per la politica scientifica e tecnologica, il documento che stabilisce l’indirizzo strategico su cui punterà la ricerca italiana per il prossimo quadriennio (2003-2006). Per sollevare le sorti del nostro Paese, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, punta quindi sui privati e individua come priorità di lungo periodo la necessità di “sostenere la capacità autonoma del nostro sistema industriale” di fare ricerca, chiedendo all’apparato scientifico nazionale di “assecondare il processo di modernizzazione del sistema produttivo, anche attraverso la creazione di imprese high-tech” (pag. 13). Il testo, che sarà inserito nel Documento di programmazione economico-finanziaria (Dpef) in discussione prima dell’estate, non è stato pubblicizzato e anzi rischia di passare inosservato.Eppure c’è chi, come Domenico Rizzuti, segretario nazionale della Cgil Università e Ricerca lo giudica “estremamente preoccupante poiché prevede una modifica radicale della ricerca italiana e una disarticolazione del sistema pubblico”. Per questo il sindacato organizzerà il 13 giugno prossimo un’iniziativa pubblica a Roma. “Se approvate così come sono, le Linee guida farebbero dipendere sostanzialmente l’organizzazione della ricerca pubblica da obiettivi contingenti di competizione economica”, va avanti Rizzuti. Accuse gravi a cui Galileo ha cercato di dare una risposta: il Ministero, interpellato, ha preferito non rilasciare dichiarazioni o commenti.Il documento ministeriale propone soluzioni per una situazione che è effettivamente preoccupante: a eccezione di poche aree di eccellenza, come il settore aerospaziale e alcuni settori della fisica (soprattutto fisica delle alte energie, della materia e astrofisica), l’Italia si trova da tempo agli ultimi posti delle graduatorie delle attività di ricerca e sviluppo. Un settore che impiega circa 150 mila addetti tra università, enti di ricerca e industrie private, dalle prospettive incerte e nella maggioranza dei casi con stipendi non competitivi. Ma il governo ha individuato proprio nell’alta qualità del “capitale umano costituito dai ricercatori e nella struttura industriale altamente flessibile” (pag.10) i punti di forza del nostro Paese. Questo nonostante il fatto che l’età media degli scienziati italiani sia tra le più elevate d’Europa (48 anni) e che la ricerca realizzata dall’industria privata, anche se in crescita, rimanga pur sempre al di sotto dei parametri di riferimento internazionali: in Italia i privati finanziano complessivamente il 43 per cento della ricerca, contro il 63 per cento della Germania, il 50 per cento della Francia e il 73 per cento degli Stati Uniti.Ancora nelle “Linee guida” leggiamo che per rilanciare la ricerca e l’innovazione sono stati individuati quattro “assi strategici”, peraltro già indicati come prioritari dal VI Programma Quadro europeo per la ricerca scientifica nel 2001 (pag. 16): la ricerca di base; quella finalizzata all’innovazione tecnologica in settori chiave – essenzialmente le biotecnologie,le nanotecnologie, l’Information Communication Technology (discipline chiamate nel documento “Bioscienza”, “Nanoscienza” e “Infoscienza”) e le tecnologie aerospaziali -; quella industriale; e lo sviluppo della ricerca nelle piccole e medie imprese (Pmi) o a livello territoriale (Regioni).Stabilite le aree in cui si debba investire, resta da decidere quanti soldi stanziare e da dove prenderli. Dal punto di vista finanziario, il governo fissa un obiettivo ambizioso: passare dall’1,07 per cento del Prodotto interno lordo (Pil) investito in ricerca nel 2001 all’1,75 per cento nel 2006, per un incremento complessivo delle risorse di oltre 14 miliardi di euro. Una cifra ancora lontana dal 3 per cento degli Usa, dove per il solo 2003 si prevedono finanziamenti per 124 miliardi di euro.Ma oltre che limitati, gli aiuti alla ricerca appaiono anche di matrice oscura. Il governo infatti non individua una voce precisa della fiscalità generale e del bilancio dello Stato da dove andrebbero decurtati eventualmente i fondi, ma subordina esplicitamente il loro reperimento a un’ipotesi di crescita del Pil del 2,5 per cento annuo. Resta quindi da chiarire cosa accadrebbe alla ricerca italiana se queste previsioni dovessero essere disattese nel corso del quadriennio, e come sia possibile realizzare in concreto la crescita in quantità e qualità degli investimenti nella ricerca da tutti auspicato.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here