Investire nelle donne per combattere la povertà e il degrado ambientale dei paesi in via di sviluppo. E’ quanto emerge dal Rapporto sullo stato della Popolazione del mondo 2001 pubblicato dal Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) e curato, per la versione italiana, dall’Associazione italiana donne per lo sviluppo. Un documento che fa il punto sul ruolo fondamentale assegnato alle donne nei paesi in via di sviluppo. Proprio nelle aree del Pianeta dove si concentra la maggiore crescita demografica, infatti, le donne rappresentano la metà della forza lavoro. Anche se, diversamente dagli uomini, non hanno nessun sostegno legale e sociale per le questioni di proprietà, titolarità ed ereditarietà della terra, accesso al credito, servizi di aggiornamento professionale e gestione delle risorse agricole. Per questo è necessario tutelarle e garantire loro un maggiore accesso ai servizi e all’informazione sulla salute riproduttiva. Integrando infatti questi servizi con quelli sulla tutela dell’ambiente, secondo il Rapporto, è possibile ottenere dei risultati e frenare sia l’eccessiva crescita demografica in paesi come il Pakistan, la Cina, l’India, la Nigeria e il Bangladesh che lo stato di stress ambientale (deforestazione, degrado del suolo e dell’acqua) che minano le risorse di queste popolazioni. Alcuni esempi della politica di sviluppo sostenibile che ruota intorno alle donne esistono già: in India queste sono a capo di movimenti popolari per la promozione di pratiche sostenibili, e nello Sri lanka l’accesso a tecnologie agricole avanzate, l’assistenza sanitaria e l’istruzione permettono ai villaggi di conservare meglio le risorse naturali e diventare autosufficienti. D’altra parte il Rapporto denuncia che ancora oggi non sono rispettati gli accordi firmati alla Conferenza internazionale del Cairo su popolazione e sviluppo nel 1994. E, in particolare, il finanziamento annuo di circa 17 miliardi di dollari previsto per i programmi sulla salute riproduttiva: oggi mentre i paesi in via di sviluppo hanno messo a disposizione buona parte della loro quota, i donatori internazionale dei 5,7 miliardi previsti dagli accordi hanno dato meno del 50 per cento. (p.c.)
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