Le ragioni della menopausa

Le prime avvisaglie compaiono verso i 40-45 anni. A partire da questa età si riduce nelle donne la produzione di estrogeni e di progesterone, gli ormoni femminili, e le prime irregolarità mestruali segnano il progressivo declino della funzione ovarica. Questo periodo può prolungarsi per alcuni anni, fino all’esaurimento completo del ciclo che in media si verifica attorno ai 50-55 anni. E’ la menopausa, dal greco “men”, mese, e “pausis”, cessazione, ovvero la fine dell’età feconda. Ma perché si verifica questo fenomeno? La menopausa ha forse un significato specifico nell’economia della nostra specie?

Il dibattito sulla menopausa è uno dei più accesi nell’ambito della ginecologia e della medicina in generale. Secondo i fautori della teoria della “grande nonna”, le donne smetterebbero di procreare per ridurre i rischi connessi a una gravidanza in età avanzata, per prendersi cura del benessere dei figli che già hanno avuto e allevare i nipoti, salvaguardando così discendenza e patrimonio genetico. Insomma, la menopausa sarebbe una delle tante strategie di conservazione della specie messa a punto nel corso della nostra evoluzione. E se invece fosse soltanto un segno dell’invecchiamento fisico? Sembrerebbe dare ragione a quest’ultima ipotesi uno studio pubblicato su Nature, condotto da Craig Packer del Department of Ecology, Evolution and Behavior dell’Università del Minnesota. La menopausa è dovuta semplicemente all’invecchiamento, affermano gli studiosi americani, così come la comparsa delle rughe e dei capelli bianchi, la riduzione della vista, e via dicendo.

La conclusione dello studio americano spiazza così l’interpretazione adattativa che è stata sostenuta da alcuni studiosi in questi ultimi anni. Ma se la procreazione è uno degli “scopi” dell’esistenza degli individui, perché a un certo punto la donna perde questa facoltà? Perché se l’età media si è ormai allungata oltre gli 80 anni, almeno per le donne occidentali, si resta infertili per circa un terzo dell’esistenza? Chi sostiene un ruolo adattativo della menopausa ribatte che ad un certo punto della vita le donne assumono una “nuova missione”: non tanto fare figli, ma appunto dedicarsi al benestare della famiglia allargata, dai figli ai nipoti. Non convinti Packer e colleghi sono andati a cercare conferme per le loro teorie in Tanzania, non tra gli uomini ma tra gli animali con un alto senso della famiglia: leoni e babbuini.

Altri mammiferi sperimentano la fine del ciclo riproduttivo prima della morte, tra gli altri i primati, gli elefanti, i cani, le balene e i conigli. Ma secondo i ricercatori americani babbuini e leoni erano dei buoni candidati per confermare o meno una “menopausa adattiva”, dato che le madri dei primi hanno una certa influenza sul ruolo sociale delle figlie e che invece le leonesse contribuiscono alla difesa del territorio e all’allevamento dei cuccioli-nipoti. Per le femmine di babbuino, che in genere non superano i 27 anni, la fertilità decresce verso i 20, mentre per le leonesse la conclusione della vita procreativa si attesta attorno ai 14 anni, e la più anziana passa i 17. Gli studiosi hanno tenuto in osservazione questi animali per circa 30 anni. Tuttavia, hanno dovuto concludere, la presenza di femmine in post-menopausa non determina alcuna influenza sulla sopravvivenza e sul benessere dei discendenti, né sul loro successo procreativo. Insomma, non ci sarebbe alcun vantaggio nell’avere una nonna che non fa più figli e che può offrire tutto il suo tempo. E questo varrebbe anche per gli esseri umani: la menopausa sarebbe dunque un effetto dell’avanzare con l’età, come la calvizie o l’indebolirsi della memoria.

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