Legge sul dolore e le cure palliative, a che punto siamo?

“Sono trascorsi cinque anni dalla promulgazione della Legge 38. Una ricorrenza che al di là della convenzionalità rappresenta un tempo sufficiente per osservare e misurare il cambiamento. Il bilancio è positivo: sul 75% del territorio nazionale le Regioni hanno infatti formalizzato l’impegno a recepire gli indirizzi dettati dalla normativa, che andranno poi resi operativi in Asl e ospedali. Ma uno degli obiettivi di questo strumento legislativo è di evitare che si creino disuguaglianze. E questo è un fronte ancora caldo. Resta infatti fuori un 25 per cento. E nei fatti a godere dei diritti previsti dalla legge 38/2010 è solo il 60% della popolazione, distribuita principalmente in cinque regioni, dove la rete «hub and spoke» è pienamente attiva. Si tratta di Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Piemonte e Veneto. Le altre Regioni si stanno pian piano allineando, ma l’estensione delle cure palliative e della terapia del dolore sull’intero territorio nazionale richiederà tempi un po’ più lunghi.

Benché io sia considerato con una certa enfasi «il padre della legge 38», l’esperienza del processo legislativo è stata «corale», condotta insieme a tanti altri colleghi, giuristi e responsabili della Sanità. E il lungo percorso applicativo mi ha fatto toccare con mano che la Legge sarebbe restata lettera morta se tutti gli attori della filiera sanitaria – dai responsabili del ministero ai pazienti – non fossero pian piano approdati a due convinzioni: che il dolore è una malattia a tutti gli effetti, e che è assurdo soffrire inutilmente nel secondo decennio del duemila, quando gli strumenti diagnostici e terapeutici disponibili consentono di controllare la sofferenza e di restituire ai pazienti la dignità della quale sono titolari in quanto persone. L’ho detto infinite volte: l’accesso alle terapie è il vero tema che ci deve occupare quando ci riferiamo alla tutela e alla cura efficace dei pazienti con dolore. Se la Legge ha un merito, quindi, è quello di aver compiuto un riconoscimento, una riaffermazione del diritto a non soffrire. In questo modo la normativa ha reso ineludibile un dialogo – fra cittadini, medici e pubblici decisori – che è cresciuto e si è arricchito fino a divenire un vero e proprio movimento culturale. Tutto considerato, quindi, le riserve sullo strumento legislativo in sé – diffuse in altre culture che giudicano superflua la Legge 38 – non intaccano il mio convincimento che, nel contesto italiano, essa ha rappresentato e rappresenta il motore di una rivoluzione, concettuale e organizzativa, altrimenti impensabile.

Ma quali trasformazioni concrete la Legge ha prescritto o stimolato? Innanzitutto la definizione delle tariffe: grazie a un questionario inviato dal Ministero alle principali unità di terapia del dolore di tutta Italia, abbiamo calibrato i budget e codificato le singole prestazioni a partire da un preciso livello di “reimbursement” medio. Poi abbiamo lavorato affinché la prima visita specialistica di terapia del dolore riceva una specifica categorizzazione, e non sia più genericamente individuata come “visita medica”. Abbiamo ritoccato anche le Schede di dimissione ospedaliera, per far sì che riportino chiaramente se il paziente è stato sottoposto o meno a terapia del dolore e se il trattamento sia stato efficace. Sul versante della formazione del personale sanitario, sono attualmente quattro i Master in terapia del dolore attivi e rispondenti ai dettami della Legge. In più, a prescindere dai percorsi universitari, sono stati formati migliaia di medici di famiglia. Grazie a questi professionisti, adeguatamente preparati, i pazienti in trattamento con cure palliative non devono stare più in ospedale, ma possono ricevere a domicilio le terapie di cui hanno bisogno.

Sempre sul versante dell’organizzazione territoriale, sta procedendo la strutturazione della Rete di terapia del dolore in Hub e Spoke. L’Ospedale universitario di Parma – nel quale ho il piacere di lavorare ogni giorno – ha presentato non più di due settimane fa il suo Centro di Terapia del Dolore, primo Hub individuato dalla Regione come punto di riferimento per un’area vasta di 2 milioni di abitanti. Ciò non rappresenta un’eccezione, ma un modello virtuoso al quale tante altre regioni si stanno allineando. Se non altro, perché lo prevede la Legge.

Passando ai limiti del nostro sistema – giacché ogni bilancio che si rispetti contiene anche le voci passive – sono costretto a stigmatizzarli con una battuta: il suo peggior difetto è che lo devono applicare gli uomini. La grande carenza del modello, infatti, continua a essere la sottovalutazione del problema dolore. Non amo farlo, ma per quantificare questa inadeguatezza è utile accennare alle sue ricadute economiche: l’impatto totale degli 8 milioni di pazienti italiani con dolore cronico è di circa 37 miliardi di euro l’anno, vale a dire il 2,3 per cento del Pil. La spesa farmaceutica, a fronte di questi oneri totali, è una goccia nell’oceano. Eppure è mal ripartita. Infatti spendiamo per gli antinfiammatori, i famosi Fans, circa 280 milioni di euro l’anno, contro 180 milioni per gli oppioidi, di cui poco più di 100 milioni per gli oppioidi forti. Tra i principali Paesi Europei, l’Italia si conferma agli ultimi posti per uso di oppioidi e ai primi per impiego di Fans. E poiché da specialista posso affermare che gli oppioidi rappresentano spesso l’opzione terapeutica più appropriata ed efficace per la gestione del dolore cronico – sia oncologico che non oncologico – allora devo denunciare che il loro impiego insufficiente rappresenta una delle principali sacche di inappropriatezza terapeutica, e quindi di inefficienza, che ancora caratterizza il nostro sistema.

All’inizio di questa settimana ho partecipato, presso le Nazioni Unite, a un importante consesso dei massimi esperti mondiali sulla cura del dolore. Ho portato a casa alcune informazioni preziose, che mi suggeriscono quale potrebbe essere la strada per applicare al meglio la Legge 38 nei prossimi 5 anni. Anzitutto, il mondo è diviso fra chi consuma forse troppi oppioidi e chi non ha affatto accesso a questi medicinali: basti pensare che i Paesi più sviluppati, nei quali vive il 17% della popolazione, consumano il 92% della morfina. Non mi stupisce che in queste nazioni si registrino anche la maggior parte dei casi di addiction e di abuso di queste sostanze. Sono anomalie fondate sull’irrazionalità dell’utilizzo delle terapie antalgiche, e soprattutto sull’utilizzo dei farmaci sbagliati, perché la tecnica farmaceutica ha già reso disponibili da anni oppioidi “abuse deterrent”, ossia che non possono essere impropriamente usati come droghe.

E in Italia, a che punto siamo? Da noi crescono, benché lentamente, i consumi di oppioidi: come riportato nel rapporto Osmed sui primi 9 mesi del 2014, l’aumento generale del consumo varia dal 2,8% (dati a unità espressi in dosi giornaliere, DDD) per gli alcaloidi naturali dell’oppio al 7,9% per altri oppioidi. E i dati di farmacovigilanza restano costanti e non destano nessun allarme. In sostanza, per volumi di consumo e per controllo della filiera, non siamo fra le nazioni esposte ai rischi di abuso e di addiction. Da noi, semmai, c’è ancora un deficit di prescrizioni e di accesso agli oppioidi, che non è dovuto alla mancanza di policy adeguate o a una legislazione restrittiva – come avviene, purtroppo, in tanti Paesi del mondo – ma a carenze organizzative e al persistere di una certa riluttanza da parte dei prescrittori. L’Italia spende infatti per gli oppioidi 1,7 euro per abitante l’anno (nel 2008 eravamo a 0,60 euro) a fronte dei 9-10 spesi in Germania. E così il cerchio si chiude, e torniamo al problema originario: un mix di barriere culturali e strutturazione tuttora inadeguata della rete di terapia del dolore e cure palliative. Due limiti, tuttavia, sui quali sono convinto che la Legge 38 – con le sue prescrizioni e la sua capacità d’inclusione di tutti gli attori del sistema – abbia inciso e possa continuare a incidere assai meglio di qualunque altro strumento.

Intervento raccolto durante il convegno, promosso da Grünenthal Italia per i 5 anni della Legge 38, tenutosi il 13 marzo 2015 presso la Biblioteca del Senato della Repubblica.  

 

1 commento

  1. o letto l’articolo ,personalmente posso dire che sono tante belle parole ma fatti poco e una burocrazia disarmante,uno per accedere a certe terapie lo fanno diventare scemo ,e poi devi aspettare aspettare aspettare mesi prima di avere una visita dallo specialista di turno, se devi andare a un controllo cambia specialista e cambia tutto ogni doc. vede le cose a modo suo, io o provato tre volte o cambiato cura e o sempre peggiorato. sono ritornato al fantomatico contramal 200 gocce al giorno e a volte non conta niente aggiungo 10 gocce di toradol tienor da 5milg. quindi o sono specialisti o a casa ,sono cattivo ma dopo 10 anni di dolori lancinanti che mi portano al limite el suicidio non capisco con tutte queste cure nuove non si trova una soluzione,non ne posso piu’ ,piango spesso e o molte notti insonni

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