Dopo le batterie a batteri arrivano quelle a virus. In tre anni di studi, i ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (Mit) sono riusciti a ottenere catodo e anodo costituiti da comuni virus, innocui per l’essere umano e modificati geneticamente per interagire con materiali conduttivi. Ottenendo così accumulatori in tutto e per tutto ecologici, più efficienti a parità di peso di quelli esistenti (qui il link allo studio).
La tecnologia è spiegata su Science da Yun Jung Lee e Hyunjung Yi, primi autori dell’articolo, e da Angela Belcher, a capo del Biomolecular Materiales Group. Già tre anni fa i ricercatori erano riusciti a creare un materiale che potesse fungere da catodo di una batteria, modificando un batteriofago (M13, che per riprodursi attacca alcuni batteri). Attraverso la bioingegneria, infatti, il virus era stato indotto a legarsi all’ossido di cobalto e all’oro e ad autoassemblarsi in nanofili.
Ora i ricercatori sono riusciti a creare anche l’anodo, spingendo i virus a interagire chimicamente con il fosfato di ferro e con nanotubi di carbonio, che amplificano la conduttività. “Stiamo forzando i virus a legarsi a materiali cui non sono abituati”, spiega Belcher: “Quando questo avviene, i virus hanno la proprietà di allinearsi e raggrupparsi generando substrati dalla struttura regolare. I nanofili di fosfato di ferro vengono così connessi elettricamente con il network di nanotubi di carbonio”. Gli elettroni possono quindi viaggiare dal carbonio al fosfato di ferro e trasferire energia in tempi molto corti.
Tutto il processo avviene a temperatura ambiente, senza l’uso di solventi o materiali tossici. I prototipi, delle dimensioni inferiori al centimetro quadro, possono essere scaricati e ricaricati fino a cento volte senza alcuna perdita di capacità. Il loro voltaggio è ancora inferiore a quello di una normale batteria al litio, ma i ricercatori contano di migliorarne le performance e portarle sul mercato in breve tempo. Promettendo il loro impiego anche per alimentare automobili ibride. (e.r.)
Riferimento: DOI: 10.1126/science.1171541
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