L’eredità della diossina

“Alle dodici e quaranta io personalmente mi trovavo fuori con la famiglia a mangiare in giardino. Appena finito di mangiare, mia moglie stava preparando il caffè e si sente un odore bestiale, proprio una cosa pazzesca non si poteva resistere… Ho detto a mia moglie: andiamo in casa perché non si resiste più; ma non potendo mai capire che cosa fosse questo odore cattivo. Dopo dieci giorni, si è saputo che era stata questa maledetta diossina. Quindi noi si faceva in tempo a morire: ma dopo dieci giorni ci hanno fatto capire che il pericolo c’era. Però qualcuno lo teneva ancora riservato; il sanitario ha tenuto la cosa calma; ha detto: non è niente…non è niente”. A parlare, ai microfoni del programma della Rai “Cronaca”, era un abitante di Seveso intervistato poco tempo dopo quel 10 luglio del’76. In quel paesino lombardo, si verificò una delle più gravi catastrofi ambientali della storia d’Italia: un incidente alla fabbrica di diserbanti Icmesa, della multinazionale La Roche, rilasciò nell’ambiente una nube tossica e maleodorante che diffuse su tutta l’area circostante più di trenta chili di diossina, il 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossin, più brevemente Tcdd, la sostanza chimica più tossica tra quelle prodotte dall’uomo. Ci vollero almeno dieci giorni prima che le autorità rivelassero il pericolo, e due settimane per iniziare l’evacuazione della popolazione più prossima all’impianto.

Oggi, a ventiquattro anni di distanza, le conseguenze di quella contaminazione continuano ad avvertirsi. L’ultimo allarme arriva da uno studio pubblicato su The Lancet da ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca, che hanno rilevato un alterazione nel rapporto maschi/femmine nelle nascite nell’area di Seveso. Un effetto “inedito” dell’esposizione alla diossina, che dunque avrebbe effetti permanenti sul sistema riproduttivo umano. Ma non solo. La ricerca, finanziata dalla Regione Lombardia e dalla Fondazione Lombardia Ambiente, ha fornito anche un altro dato inquietante: analizzando il caso di alcuni uomini residenti nell’area coinvolta dall’incidente prima che esso si verificasse, è risultato che la popolazione di Seveso era stata esposta a significativi livelli di diossina anche prima dell’incidente del’76.

I ricercatori hanno misurato la concentrazione di Tcdd in 535 persone (296 donne e 239 uomini) che vivevano vicino Seveso all’epoca dell’incidente – e dunque potenzialmente esposti alla diossina- e che avevano avuto figli tra il 1977 e il 1996. Poi hanno confrontato questi dati con quelli sul sesso dei bambini, 346 femmine contro 328 maschi (quasi il 49 per cento dei nati), che nell’insieme mostravano solo una piccola deviazione dalla media (normalmente nascono 106 uomini ogni 100 donne, ovvero i maschi sono il 51,4 per cento dei nuovi nati). Una serie di controlli incrociati ha poi permesso di mettere meglio a fuoco il fenomeno: sarebbero solo gli uomini a fare meno figli maschi. In particolare quelli che all’epoca dell’incidente avevano dai tre e i 19 anni e presentavano nel sangue concentrazioni di diossina maggiori di 15 ppt. Tra questi padri, si sono avute 82 femmine su 50 maschi ( questi ultimi quindi sono poco più del 38 % dei neonati). Ciò significa che se normalmente nasce almeno un maschio per ogni femmina, in questo caso ne è nato uno ogni due.

Dallo studio emerge dunque che la diossina ha conseguenze permanenti sull’apparato riproduttivo degli uomini (l’incremento di nascite femminili si è avuto anche ad anni di distanza, quando i livelli di diossina erano scesi) e in modo più significativo quanto più è precoce la contaminazione. “Tutto questo anche quando la contaminazione era minima, con livelli circa 20 volte superiori a quelli normalmente presenti nelle popolazioni dei paesi industriali”, spiega Paolo Mocarelli, primo firmatario dello studio pubblicato su The Lancet, “e comunque più bassi di quelli associati con molti degli altri effetti della diossina”. Che non sono pochi: il Tcdd è marcatamente teratogeno, cioè dà malformazioni nell’embrione, nonché cancerogeno. Ma ha anche numerosi effetti tossici: causa una rara forma di dermatite (cloracne), la porfiria, l’ipercolesterolemia, danni epatici e renali, l’irsutismo e alterazioni della personalità. Il Tcdd è presente come contaminante in alcuni erbicidi e nelle produzioni chimiche e farmaceutiche ma è anche generata dai processi di combustione, per esempio dagli inceneritori di rifiuti, e dalla lavorazione industriale della carta. Generalmente, entra nell’organismo umano attraverso la catena alimentare, e lì si accumula.

“La popolazione di Seveso merita la gratitudine della comunità internazionale”, ricorda Mocarelli: “nei venticinque anni trascorsi dall’incidente non ha mai smesso di collaborare con i ricercatori”. Questo significa sottoporsi ogni quattro-cinque anni a tutta una serie di test ed esami: questionari con centinaia di domande, prelievi ematici, visite ginecologiche, ecografie. “Eppure abbiamo l’80 per cento di adesioni alle lettere di invito a sottoporsi ai controlli”, afferma lo studioso, “ed è così è stato possibile raccogliere trentamila campioni in venticinque anni”. Ma il caso Seveso rappresenta una occasione eccezionale per poter studiare gli effetti della diossina soprattutto perché si conoscono i livelli della sostanza tossica nel sangue delle persone dopo l’incidente, grazie ai prelievi effettuati all’epoca. Si possono così distinguere gli effetti in base alla quantità di diossina assorbita dall’organismo. Questo ha permesso ai ricercatori di escludere la “responsabilità” delle donne nella alterazione del rapporto maschi/femmine tra i nuovi nati e di stabilire una fascia di età più a rischio.

Che l’inquinamento ambientale potesse influire sul sistema riproduttivo umano era già stato suggerito da alcune ricerche che avevano evidenziato tra i figli di lavoratori a contatto con sostanze contenenti diossine e di persone esposte alle emissioni degli inceneritori un certo decremento di nascite maschili. Ma anche uno studio condotto in alcune città italiane, pubblicato lo scorso anno su Human Reproduction, aveva verificato che nelle aree metropolitane – dove l’esposizione agli inquinanti, compresa la diossina, è notevole – nascono più femmine che maschi. “E il nostro lavoro”, afferma Mocarelli, “da una spiegazione a questo fenomeno, poiché per la prima volta stabilisce un legame con l’esposizione al Tcdd”.

Come e perché la diossina agisca sul sistema riproduttivo umano, e in particolare su quello maschile, resta ancora un mistero. Gli autori dello studio suggeriscono che il rapporto maschi/femmine dei nuovi nati possa essere determinato dai livelli ormonali dei genitori al momento del concepimento. Un’altra possibilità, ritenuta più plausibile dal commento allo studio pubblicato da Lancet, prende invece spunto dal fatto che in alcuni studi animali la diossina si è dimostrata tossica per i feti. Considerando che l’aspettativa di vita per gli uomini è inferiore che per le donne, a qualsiasi età, dal concepimento in poi, potrebbe darsi che l’esposizione a questa sostanza durante la gravidanza sia più dannosa per i feti di sesso maschile. Ma sono solo ipotesi, tutte da verificare.

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