L’evoluzione in vitro

Anche le molecole si evolvono. E anche per loro, come per i virus e i batteri, per gli animali e le piante vale la legge della sopravvivenza del più adatto. Martin C. Write e Gerald F. Joice dello Scripps Institute di La Jolla, California, hanno fatto evolvere in vitro i ribozimi, le molecole di Rna con attività catalitica. I ribozimi sono sequenze di Rna con una funzione simile a quella degli enzimi e, proprio come questi, aumentano la velocità di una reazione biochimica di vari ordini di grandezza.I biologi fanno già evolvere i ribozimi in laboratorio. Ma il procedimento adottato fino a oggi consiste di fasi chiaramente e rigorosamente separate l’una dall’altra, richiede la costante presenza dello sperimentatore e tempi lunghi di realizzazione. A partire da un gruppo di differenti Rna e dal substrato di una reazione biochimica, gli scienziati selezionano i catalizzatori più efficienti. A questo punto le molecole “migliori”, inizialmente pochissime, vengono artificialmente selezionate, amplificate, modificate per creare nuove varianti e dare il via a nuovi cicli di selezione artificiale.Al laboratorio di La Jolla sono riusciti a escludere l’intervento umano dalla fase della selezione e a ridurre la durata del processo. I due ricercatori hanno ideato un ingegnoso sistema di amplificazione selettiva e mutazione. La “macchina” di Joice e Wright consiste, semplificando molto, di un set di enzimi che moltiplicano le molecole di quei ribozimi che fanno “meglio” un determinato lavoro di catalisi. Il tutto funziona così: si inserisce un pool di molecole di Rna catalitico nel sistema. Ogni ribozima che entra nel meccanismo di replicazione deve necessariamente legarsi a una sequenza di nucleotidi. Solo la presenza della stringa nucleotidica, infatti, può attivare la Rna polimerasi, la molecola che catalizza la sintesi dell’Rna a partire da singole unità nucleosidiche. La polimerasi attiva, tuttavia, non fa copie “esatte” dei ribozimi ma commette degli errori, producendo, così, delle varianti. Sono proprio queste molecole “sbagliate” a costituire il materiale grezzo dell’evoluzione. Il nuovo sistema è anche in grado di moltiplicare il numero dei ribozimi amplificando, però, con maggiore efficienza quelli “migliori”. I ribozimi che si attaccano più velocemente alla stringa nucleotidica hanno, infatti, maggiori probabilità di essere replicati: per dirla con Darwin i più efficienti producono progenie più numerosa. “E’ un sistema pulito che ripropone la sopravvivenza del più adatto” dice Andrew Ellington, biochimico all’Indiana University di Bloomington, commentando il lavoro di Joice e Wright pubblicato recentemente sul settimanale americano “Science”.Questo tipo di evoluzione – che gli autori definiscono “in continuo” per distinguerla dal sistema classico “a gradini” – potrebbe fornire un buon modello per studiare l’evoluzione degli esseri viventi. Questo per due ragioni: innanzitutto perché l’intervento dello sperimentatore è limitato, e in secondo luogo perché nel sistema di Joice e Wright il legame tra il fenotipo del singolo individuo – in questo caso il ribozima – e la sua fecondità (in questo caso la possibilità di essere più velocemente replicato) è diretto. Proprio come avviene nelle popolazioni reali di organismi biologici.

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