Giro di prova come da programma. Al Cern di Ginevra (Svizzera), il Large Hadron Collider è ufficialmente entrato in funzione questa mattina alle 9,30, quando un fascio di circa un miliardo di protoni è stato iniettato all’interno dell’acceleratore, e ha concluso il suo viaggio di 27 chilometri un’ora più tardi.
Durante l’esperimento, i ricercatori – tra i quali circa 600 italiani dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) – hanno osservato le prime interazioni a bassa energia tra le particelle (450 Gev l’una) che si sono scontrate con quelle del gas residuo all’interno dell’acceleratore. Se per vedere l’Lhc alle sue massime possibilità (7 Tev) dovremo aspettare qualche mese, già dai prossimi giorni si comincerà a cercare le particelle ancora latitanti previste dal Modello Standard, e sarà possibile ricreare in laboratorio condizioni estreme, come quelle ipotizzate per l’universo primordiale (vedi Galileo). “Studiare l’universo nelle sue condizioni estreme è un compito arduo”, commenta Tommaso Maccacaro, presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (inaf): “Gli astrofisici lo fanno avvalendosi di acceleratori naturali, ovvero i nuclei di galassie remote, le pulsar, le supernove, dove si sviluppano energie elevatissime. Ora, con l’accensione del Large Hadron Collider diventa disponibile qui sulla Terra un laboratorio dalle potenzialità formidabili che permetterà ai fisici delle altissime energie di perseguire in modo complementare questi studi e contribuire a svelare la natura dell’universo e dei suoi costituenti fondamentali”. (t.m.)
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