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Libia, che fine ha fatto l’acquedotto sotterraneo?

Nella guerra contro Gheddafi, in gioco non c’è solo l’identità politica di una nazione. L’esito del conflitto condizionerà anche il futuro energetico di tutti i paesi che dipendono dalla Libia per le esportazioni di petrolio. Un problema che riguarda molti governi, considerando che dal sottosuolo arrivano circa 1,6 milioni di barili di petrolio al giorno. Quando si parla di oro nero, infatti, la Libia è il terzo produttore africano e vanta le maggiori riserve del continente. Ma di tutto il petrolio prodotto, solo una piccola parte è consumato in casa. L’85 per cento, infatti, è venduto in Europa (circa il 32 per cento all’Italia), mentre circa il 5 per cento viene esportato negli Stati Uniti. E ora i pozzi sembrano in mano ai ribelli.

In questi giorni di guerra, però, il petrolio rischia di mescolarsi con l’acqua, anche se non in senso stretto. La questione è stata sollevata da Peter Neill in un articolo pubblicato sull’ Huffington post. Perché non tutti sanno che nel 1984 il colonnello Gheddafi iniziò la costruzione di un’opera assai particolare: The Great Men Made River.

Negli anni ’50, scavando nel sottosuolo alla ricerca di petrolio, i libici scoprirono che nella parte meridionale del paese c’erano grandi quantità d’acqua sotterranea. Si tratta del cosiddetto Nubian Sandstone Aquifer System, una riserva accumulatasi in milioni di anni che oggi si estende tra Libia, Egitto, Chad e Sudan per una superficie complessiva di 2 milioni di chilometri quadrati. L’idea di Gheddafi fu quella di costruire una grande rete di canali per portare l’acqua nel Sahara, a Tripoli, Bengasi e nei centri lungo la costa Mediterranea. Il progetto, definito da Gheddafi “o ttava meraviglia del mondo” e costato 25 miliardi di dollari, prevedeva di scavare migliaia di pozzi a 500 metri di profondità e mettere insieme 5mila chilometri di condutture dal diametro di 4 metri, capaci di veicolare sino a 6 milioni di metri cubi d’acqua al giorno.

Ma la faccenda nasconde qualche mistero. Nel 1997, il New York Times pubblicò un articolo che sollevava dubbi circa le reali finalità dell’opera. Il giornalista riportava le perplessità di due ingegneri stranieri coinvolti nei lavori, che giudicavano poco verosimili o incomplete le spiegazioni addotte dal governo libico per giustificare i lavori. Secondo la loro opinione, il progetto non aveva scopi civili, ma militari. I tunnel sotterranei, infatti, sarebbero serviti per nascondere armi, munizioni, provviste, soldati agli occhi dei satelliti americani, oltre a essere una via di comunicazione con Egitto, Sudan e Chad, paese con cui la Libia ha intense relazioni.

L’articolo del Ny Times sollevava anche un’altra questione. La maggior parte dei macchinari usati per realizzare l’opera, infatti, sono made in Usa. Ma è mistero come ci siano arrivati, visto che nel 1986 il presidente Ronald Regan impose un embargo commerciale alla Libia. Forse, dal momento che non aveva alcun tipo di divieto commerciale con il paese africano, fu l’Europa a fare da intermediaria, con o senza il benestare degli Stati Uniti. Sta di fatto che i macchinari sono ancora in Libia e i lavori continuano. Con uno scopo ancora da chiarire.

Riferimenti: wired.it

Martina Saporiti

Laureata in biologia con una tesi sui primati, oggi scrive di scienza e cura uffici stampa. Ha lavorato come free lance per diverse testate - tra cui Le scienze, Il Messaggero, La Stampa - e si occupa di comunicazione collaborando con società ed enti pubblici come l’Accademia dei Lincei.

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  • Ho visto personalmente le stazioni di pompaggio dell'acqua a sud di Tazerbo. Una ogni Km in linea retta est-ovest.

    Non sono più di 30. Sono totalmente automatiche e non presidiate.

    Le ipotesi presentate nell'articolo non sembrano plausibili. Ne per il numero di pozzi previsti/necessari, ne per il loro scopo.

    Se fossero istallazioni militari vi sarebbero vari punti di accesso e avendo percorso il deserto più volte in quell'area per centinaia di km posso escludere l'esistenza di accessi alle tubazioni sottostanti. Si tratta infatti di una zona particolarmente pianeggiante.

    Più a est sono, verso l'Egitto, sono invece frequenti pozzi non sfruttati. Si presentano come chiusini del diametro di 30 cm. con scritte che chiaramente indicano che si tratta di pozzi di petrolio o gas e sono sigillati. Anche qui, difficile pensare che qualche cosa o qualcuno possa entrare di li per accedere a canali sottostanti.

    Inoltre, le tubazioni di 4 mt di diametro vengono costriti da una azienda italo libica nei pressi di Sirti. Basta fare una telefonata per chiarire a cosa servono.

    Infine, prima dell'attivazione dell'acquedotto a Tripoli e Sirti l'acqua era razionata. Dagli anni 80 è invece abbondante .... al punto che l'acquedotto di Tripoli spesso salta.

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