Vita

Questioni di genere nelle scimmie: la dominanza maschile non è innata

Le osservazioni e gli studi sul comportamento delle scimmie antropomorfe tendono a mettere in evidenza sia le somiglianze con noi umani sia le reciproche differenze, con risultati che dipendono dalle specie tra cui si studia il confronto ed anche dalla impostazione culturale del ricercatore. Abbiamo un DNA simile al 95%, abbiamo condiviso un analogo percorso evolutivo, ritroviamo comportamenti che riconosciamo nei nostri simili, sostengono alcuni; e gli altri mettono in evidenza le differenze tra umanità e animalità , le divergenze evolutive, le fisiologie differenti, il diverso sviluppo cerebrale e, soprattutto, modalità comportamentali caratteristiche delle specie diversa dalla nostra. Frans de Waal, esperto primatologo, prendendo esempi dalla attenta e paziente osservazione di primati liberi o in cattività, tenta di smontare alcuni tra gli stereotipi più comuni relativi alla nostra eredità evolutiva, soprattutto per quanto riguarda alcuni aspetti importanti: la differenza di genere, la prepotenza maschile e il comportamento sessuale di maschi e femmine. Insieme alla nostra specie, de Waal prende in considerazione gli scimpanzé e i bonobo, rimarcando le differenze tra le loro comunità ma studiandone in particolare gli aspetti positivi, cioè la solidarietà, la capacità di gestire dei conflitti, l’aiuto reciproco e la gioia di vivere che le caratterizza. Impariamo così a conoscere le storie di Mama, femmina alfa in una colonia di scimpanzé, o della bonobo Kame, capace di lottare con il maschio alfa in difesa dei propri figli, o delle vicende che si svolgono al Lola ya Bonobo Sanctuary, a dimostrazione che la dominanza maschile non è innata nella nostra specie.

Frans de Waal

DIVERSI. Le questioni di genere viste con gli occhi di un primatologo.

Raffaello Cortina Ed. 2022.

pp. 470, € 28,00

Certo, i maschi delle amadriadi sono aggressivi e dominatori, e anche tra gli scimpanzé i maschi alfa devono lottare per far riconoscere il loro predominio e mantenerlo nel tempo. Ma c’è anche molto altro. Non è stato facile, per i primatologi e soprattutto per le primatologhe, far riconoscere alla comunità scientifica i sentimenti di solidarietà e di amicizia tra maschi adulti, e de Waal ha studiato in particolare le modalità con cui i maschi riescono a fare la pace dopo essersi scontrati. Un intero capitolo, dedicato alle “amorevoli cure” nei confronti reciproci ma soprattutto dei più piccoli, racconta le attenzioni e le capacità dei maschi di far crescere e accudire i piccoli del proprio gruppo, soprattutto in assenza della femmina. Del resto, è in contrasto con gli stereotipi di genere anche riconoscere i ruoli dominanti delle femmine alfa, i loro comportamenti di guida e di mediazione all’interno delle comunità, la loro capacità di assumersi responsabilità aiutando le giovani inesperte e insegnando loro cosa fare nelle diverse situazioni.

Le tre specie – umana, degli scimpanzè e dei bonobo – si sono evolute fino ad oggi seguendo strade autonome e sviluppando somiglianze e differenze. Le comunità dei bonobo, commenta de Waal, sono pacifiche, dominate dalle femmine e dedite al sesso: le femmine sono solidali tra loro e sono le prime ad avvicinarsi al cibo mentre i maschi aspettano, e dopo un po’ di sfregamento di genitali mangiano tutti insieme. Le femmine alfa raggiungono la loro posizione dominante per capacità ed età, e l’esistenza di gerarchie prevede anche per i bonobo situazioni di coercizione: il maschio che non rispetta il proprio ruolo o commette un errore nei confronti della femmina di grado superiore può venire punito, a volte con morsi dolorosi.

Sempre attento alle differenze di genere e al confronto con la specie umana, De Waal esplora con attenzione e competenza il ruolo della sessualità nelle diverse antropomorfe analizzando i segnali di disponibilità all’accoppiamento lanciati tra i sessi e le conseguenti risposte attese o provocate. Per gli umani come per altre specie animali l’attrazione sessuale e il desiderio provocano cambiamenti fisici con lo scopo di realizzare un incontro, soddisfare l’impulso e provare piacere. Invece la fecondazione, cioè l’incontro tra l’ovulo e lo spermatozoo, non fa parte della consapevolezza evolutiva (la conservazione della specie) né per noi né per altri. Il sesso non è collegato con la prole, e per gli umani questo collegamento è divenuto consapevole in tempi evolutivamente recenti. Perfino tra gli uccelli, presi spesso a modello di fedeltà coniugale, bisogna distinguere tra monogamia genetica (rara, forse inesistente), e monogamia sociale: tra molti primati, per esempio gli scimpanzé, il sesso ha la precedenza sul cibo. E de Waal commenta: Distorciamo la realtà perché corrisponda ai nostri criteri morali. Bisognerebbe abbandonare il mito per cui i maschi avrebbero pulsioni sessuali più forti e sarebbero più promiscui delle femmine.

Sudi e osservazioni dimostrano inoltre anche l’esistenza in natura di moltissime situazioni di omo- trans- e bi- sessualità, così che il comportamento degli animali dovrebbe poter “zittire chi le definisce innaturali o anormali”. Il macaco del Giappone ha un comportamento omosessuale ampiamente documentato; durante la stagione riproduttiva le femmine di macaco reso si associano nelle combinazioni più sorprendenti, ignorando anche le disparità di rango. Indicare questi come “comportamenti riproduttivi” è poco realistico e certo non tiene conto delle componenti di divertimento, gioco, gratificazione che le accompagnano. La biologia non può essere ignorata: i primi studi sulle differenze cerebrali tra maschi e femmine risalgono agli inizi del ‘900 e, attualmente, i diversi orientamenti sessuali sembrano dipendere da una combinazione di fattori genetici, neurologici, ormonali, familiari e ambientali. Resta la domanda di fondo: è il cervello che influenza il comportamento in una data direzione o è il contrario? Molte caratteristiche cerebrali sono fissate alla nascita e non cambiano con l’esperienza, ma è noto che molte esperienze modificano con evidenza lo sviluppo di particolari zone cerebrali. Dunque lo studio del cervello può solo dare qualche indizio su quali siano gli aspetti inalienabili e inalterabili di ogni persona. Gli esseri umani sono diversi, e non è possibile suddividere in due o tre categorie quello che in realtà è un continuum, in cui non si può distinguere un comportamento sessuale da una identità sessuale. La nostra biologia è più flessibile di quanto si pensi, e se il comportamento animale viene attribuito all’istinto, il comportamento umano è stato per lungo tempo considerato un prodotto culturale. In realtà, sostiene de Waal, non dovremmo contrapporci alla natura ma piuttosto allinearci ad essa: il nostro intelletto non vola al di sopra della nostra biologia. Se non c’è corpo non c’è niente, scrive Antonio Damasio; e ricorda come corpo non sia un ostacolo fastidioso né soltanto un involucro, non sia una tomba né una prigione. Sembra ormai venuto il tempo di superare i tanti pregiudizi culturali che rimandano all’antico dualismo corpo-mente e comprendere quanto uomini, donne e animali siano indissolubilmente legati ai loro corpi. Secondo de Waal si tratta di una questione di amore e di rispetto reciproco, e conclude la sua esperienza ricordandoci che non abbiamo bisogno di essere la stessa cosa per essere uguali.

Credits immagine copertina: Cecilia Jørgensen on Unsplash

Maria Arcà

Maria Arcà ha svolto ricerche in Biologia Molecolare presso l'Università e il CNR di Roma. Dagli anni 70 si è interessata ai problemi cognitivi ed epistemologici dei bambini; ha svolto attività di aggiornamento per insegnanti della scuola di base, ha pubblicato articoli e testi in Italia e all’estero.  Nel 2000, ha partecipato alla Commissione De Mauro per la definizione dei curricoli di scienze e, nel 2012, alla revisione delle Indicazioni Nazionali per il Curricolo.

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