Categorie: Salute

L’insulina dai fiori

Un laboratorio tra distese di fiori gialli. La produzione di insulina potrebbe presto avvenire in campi coltivati con piante molto simili allo zafferano. A prendere il posto dei batteri geneticamente modificati mantenuti in cisterne sigillate, il sistema finora più diffuso per ricavare l’ormone necessario ai diabetici, sarà infatti la versione Gm del cartamo (carthamus tinctorius), una pianta di origine orientale. L’aggiunta di un gene umano nel Dna del vegetale permetterà all’azienda canadese Sembyosis di mettere in commercio entro tre anni uno dei primi farmaci ottenuti con questa tecnica.

“Un campo coltivato a cartamo in Nord America”, sostiene Andrew Baum, ai vertici dell’azienda, “basterà a soddisfare la futura domanda globale di insulina”. Un obiettivo ambizioso, se pensiamo che le allarmanti stime dell’Organizzazione mondiale della sanità, che parlano di un incremento nel numero di diabetici del 39 per cento entro il 2030, sono state giudicate fin troppo ottimistiche da uno studio pubblicato su The Lancet lo scorso marzo. La domanda di insulina crescerà più in fretta di quanto previsto, passando dagli attuali 6.000 chilogrammi ai 16.000 del 2012, e non solo per l’aumento dei casi di diabete nel mondo, ma anche in conseguenza dei nuovi metodi di somministrazione della sostanza, come l’inalazione, che richiedono dosi anche venti volte maggiori rispetto all’iniezione.

Dalla Sembyosis fanno sapere che l’iter per l’immissione in mercato è a buon punto: già verificata l’equivalenza con il prodotto di origine animale, ora l’insulina vegetale passerà ai trial clinici, il cui inizio è previsto entro la fine di quest’anno. Resta però ancora un ostacolo da superare e non si tratta di cosa da poco. Nonostante Baum sia convinto che l’operazione canadese servirà a migliore la fama delle biotecnologie, le preoccupazioni di quelli che hanno già guardato con diffidenza la diffusione degli Ogm in campo alimentare, restano e anzi si acuiscono.

A mettere in guardia i consumatori sono già intervenute le associazioni ambientaliste, Amici della Terra in primis: il rischio è di ritrovarci l’insulina nel piatto. Le contaminazioni tra piantagioni non sono infatti del tutto controllabili e una eventuale fuoriuscita potrebbe compromettere la sicurezza della catena alimentare.

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