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L’italiano che a Stanford fa “dormire” le staminali

LE CELLULE staminali sono una grande promessa della medicina rigenerativa e per le malattie neurodegenerative. Il merito è tutto della loro capacità diriserva, meglio della loro capacità di dare origine, dividendosi, sia a cellule identiche a se stesse – e quindi, di nuovo staminali – che di differenziarsi, ovvero di produrre cellule con funzione diversa a seconda delle esigenze. Per questo sono tanti gli studi che cercano di utilizzarle per rimpiazzare, per esempio, cellule perse in seguito a traumi o sostituire tessuti malati, come nel caso delle distrofie muscolari. Ma maneggiare in laboratorio queste ‘riserve cellularì è tutt’altro che semplice. Per esempio, nel caso delle staminali del muscolo, quando le si coltiva in laboratorio perdono potenza, diventano meno brave a mantenere la loro identità staminale e cominciano a differenziarsi, perdendo così anche la capacità di rigenerare nuovo muscolo. Già nel giro di poche ore. L’ideale sarebbe fare in modo che queste cellule sopravvivessero in laboratorio così come fanno nel muscolo, nel loro ambiente naturale, creando loro una ‘nicchià in cui possano mantenere completamente la loro potenza, più propriamente la loro quiescenza.

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Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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