Lo spermatozoo matura in provetta

Un’équipe composta da ricercatori italiani, francesi, spagnoli e turchi, ha forse trovato una nuova strada per combattere l’infertilità maschile. Il team internazionale ha infatti ottenuto in vitro degli spermatozoi in grado di fecondare ovuli femminili, a partire da cellule sessuali immature prelevate da uomini affetti da azoospermia, una grave forma di sterilità maschile caratterizzata dall’assenza di spermatozoi nel liquido seminale. Se dovesse essere confermata la sua innocuità e passasse il vaglio delle legislazioni nazionali, la nuova tecnica, che è stata descritta recentemente sulle pagine di The Lancet, potrebbe ridurre il numero delle coppie infertili che oggi, per avere un figlio, ricorrono a un donatore di seme estraneo alla coppia. Ermanno Greco, andrologo e coordinatore della ricerca, ha illustrato a Galileo il suo lavoro.

Dottor Greco, quanti uomini sono affetti da azoospermia e in cosa consiste esattamente questa patologia del sistema riproduttivo maschile?

“Il 15-20 per cento degli uomini infertili è azoospermico: cioè non eiacula spermatozoi. Questo non significa che tutte queste persone non producano gameti capaci di fecondare. Nella metà dei casi, infatti, nei testicoli degli azoospermici sono presenti spermatozoi utili alla fecondazione, ma in una quantità molto ridotta. Queste persone possono ricorrere a una tecnica, che risale al 1995 e che consiste nel prelevare da un frammento di tessuto testicolare cellule sessuali mature che andranno poi a fecondare in vitro ovuli femminili. Nel 35 per cento dei pazienti azoospermici, invece, non c’è traccia di spermatozoi maturi, neanche nei testicoli. Con la nostra tecnica possiamo intervenire su queste forme di sterilità. Questi pazienti ora possono sperare di avere figli a partire da cellule anche molto immature. Non possiamo fare nulla, purtroppo, per quel 15 per cento degli azoospermici nei cui testicoli non c’è traccia di epitelio germinale, cioè del tessuto da cui originano le cellule sessuali”.

La spermatogenesi, il processo che da cellule diploidi, e cioè con un corredo cromosomico completo, porta alla cellula sessuale aploide, con metà patrimonio genetico e una forma adatta alla riproduzione, consiste di varie fasi. Su quale di queste siete intervenuti con la vostra tecnica?

“Noi abbiamo lavorato su nove uomini, tutti azoospermici. In cinque di questi il processo di spermatogenesi si bloccava molto precocemente: prima della prima fase della meiosi, la divisione cellulare tipica delle cellule sessuali che serve a dimezzare il numero dei cromosomi. In questo stadio la cellula maschile prende il nome di spermatocita primario, e il suo Dna è addirittura doppio rispetto a quello diploide e quadruplo rispetto a quello aploide. Gli altri quattro pazienti invece avevano un arresto post-meiotico. Le loro cellule sessuali erano aploidi perché avevano superato la meiosi. Tuttavia si trattava di elementi molto immaturi che tecnicamente chiamiamo spermatidi rotondi. Uno spermatide rotondo, contrariamente allo spermatocita primario, è in grado di fecondare in vitro un ovulo, ma le probabilità di successo sono molto basse”.

E allora cosa avete fatto esattamente?

“Abbiamo messo a punto un sistema che permette sia agli spermatociti primari che agli spermatidi rotondi di completare in vitro il processo di maturazione. Abbiamo prelevato le cellule seminali dei testicoli dei pazienti, le abbiamo messe in coltura con due ormoni: testosterone e Fsh ricombinante, ottenuto con le biotecnologie”.

E cosa è successo a questo punto?

“Da spermatociti primari si sono formati spermatidi aploidi, molto simili per livello di maturazione agli spermatozoi. Utilizzando la tecnica della Intracytoplasmic sperm injection, la Icsi, abbiamo effettuato la fecondazione in vitro. Abbiamo così ottenuto degli embrioni: di questi, sei per ogni paziente sono stati trasferiti in utero. Ebbene, lo scorso novembre sono nate due bambine gemelle. Con lo stesso procedimento, dalla maturazione degli spermatidi rotondi siamo riusciti a provocare due gravidanze: da una è nato un bambino”.

Quali sono, a suo giudizio, le prossime tappe nell’evoluzione della terapia della sterilità maschile?

“Tra 5-6 anni la quota di uomini che per diventare padri devono ricorrere al seme di un donatore eterologo potrebbe ridursi di molto grazie alle tecniche che permettono alle cellule sessuali immature di evolversi fuori dai testicoli. Ma la nostra speranza è che un giorno si arrivi a fecondare l’ovulo femminile con cellule aploidi che non derivino dalla linea germinale, ma da elementi somatici maschili, e cioè dalle comuni cellule che costituiscono i tessuti del corpo umano”.

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