Lo stress che porta in farmacia

Donne e stress: una relazione pericolosa che spesso le porta a chiedere aiuto agli psicofarmaci. Quanto gli eventi dolorosi e lo stress quotidiano incidono sul benessere psicofisico delle donne? Possono i farmacisti trasformarsi in un punto di riferimento per quelle donne che ricorrono ai farmaci per superare situazioni difficili? Se lo sono chiesto i ricercatori del dipartimento di Medicina e Sanità pubblica dell’Università di Verona. Insieme alla commissione Pari Opportunità della Regione Veneto,infatti, hanno pensato di sfruttare questa assidua frequentazione tra donne e farmacisti per capire quanto gli eventi stressanti incidano sulla vita quotidiana delle donne e sulla loro salute mentale, valutando anche l’impatto di questi sull’uso (e abuso) di ansiolitici e antidepressivi.

L’indagine ha coinvolto 249 farmacisti di tutta la regione e 11357 donne. Ciascun farmacista ha intervistato 48 clienti femminili, una al giorno, nei mesi di maggio e ottobre 2008. Le donne erano scelte casualmente ma secondo un preciso criterio: 16 erano selezionate tra quelle che presentavano una prescrizione personale per un farmaco ansiolitico o un antidepressivo, e 32 tra quelle entrate in farmacia per una qualsiasi altra motivazione. Dopo una breve intervista su alcuni aspetti farmacologici generali, a ogni cliente selezionata era consegnato un questionario, da compilare in uno spazio riservato appositamente allestito, sullo stato familiare, la condizione lavorativa, l’autosufficienza, l’eventuale supporto psicologico, psichiatrico o sociale, e la presenza nella propria vita di eventi stressanti (per esempio violenza, lutto, problemi di salute, familiari, affettivi e finanziari), insieme a una valutazione del loro impatto sul proprio benessere.

Dall’analisi dei questionari e delle interviste è emerso che le partecipanti – in genere sposate, di età media intorno ai 50 anni e autonome nella vita quotidiana – assumevano prevalentemente farmaci per disturbi cardiovascolari, gastrointestinali e articolari. La maggior parte delle terapie ansiolitiche e/o antidepressive prescritte si protraeva da più di sei mesi, ma solo nel 26 per cento dei casi era supportata dall’intervento di uno psicologo o di uno psichiatra. Gli eventi stressanti più frequenti erano la morte di un parente stretto, problemi familiari e affettivi, difficoltà economiche. Come atteso dai ricercatori, questi eventi erano più frequenti nelle donne che presentavano prescrizioni per ansiolitici e antidepressivi (90 per cento del campione intervistato) rispetto alle altre (74 per cento). Poiché, notano i ricercatori, l’impatto sullo stato di benessere di queste vicende personali e familiari persiste spesso per diversi mesi, le donne sottoposte a terapie psicofarmacologiche tendono a prolungare il trattamento anche quando le linee guida lo sconsigliano.

“Le donne ricorrono ai farmaci anche perché non sempre trovano spazi di ascolto sufficienti”, spiega Anita Conforti, ricercatrice dell’Università di Verona e tra gli autori dello studio. “Il farmacista può diventare un punto di riferimento importante, se adeguatamente formato”. Tra gli scopi dell’indagine, infatti, vi era anche quello di promuovere una maggiore consapevolezza del problema in queste importanti figure professionali: i farmacisti hanno partecipato ad alcuni incontri preparatori, per mettere alla prova la loro abilità di counseling e capire se effettivamente potessero essere di aiuto in queste situazioni. Spesso però a condurre le donne verso l’uso di ansiolitici e antidepressivi sono problemi di carattere affettivo e socioeconomico: in questo caso bisogna trovare soluzioni che prescindano dal farmaco. “Anche per questo è importante che la ricerca si trasformi in un modello esportabile nelle altre regioni, per fare indagini capillari e approfondire le esigenze delle donne nelle diverse realtà locali. La speranza – conclude la ricercatrice – è che alla fine questi dati vengano utilizzati da chi decide le politiche sanitarie”.

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