L’onda che scova la bomba

Accanto a quella politica, la risposta agli attacchi terroristici di sempre più stretta attualità dovrà essere necessariamente anche tecnologica. Un aiuto nell’individuazione di ordigni esplosivi o di sostanze potenzialmente nocive potrebbe venire da un impiego innovativo di una porzione della radiazione elettromagnetica. Esiste infatti tutta una zona dello spettro che è stata finora poco sfruttata ma che potrebbe fornire una inattesa gamma di applicazioni. Si tratta della parte di onde che ha una frequenza compresa fra quella delle microonde e quella del visibile. Fra i telefoni cellulari e il laser, tanto per intenderci. Questa regione inesplorata è stata battezzata “radiazione terahertz” o T-rays (1THz=1012 Hz, una frequenza mille volte più elevata di quella sulla quale comunicano i telefonini) e lo stato dell’arte insieme alle applicazioni del prossimo futuro sono state al centro di un convegno internazionale che si è tenuto ad Erice dal 20 al 26 luglio scorsi presso il Centro Ettore Majorana.“Sicuramente gli sforzi maggiori sono rivolti alla progettazione di dispositivi in grado di rivelare la presenza di sostanze pericolose, come ordigni esplosivi, o illecite, come stupefacenti”, spiega Alessandro Tredicucci, ricercatore della Scuola Normale Superiore di Pisa e organizzatore dell’incontro siciliano. “In questo senso, in un futuro non troppo lontano potrebbero essere impiegate apparecchiature basate sui THz ai posti di controllo aeroportuali o nelle ispezioni postali”.Il punto di forza della radiazione terahertz risiede nella capacità che hanno le onde elettromagnetiche che ricadono in questo intervallo di frequenza di eccitare risonanze nei materiali che vengono colpiti. Di conseguenza, ogni sostanza reagisce in modo peculiare, fornendo una indicazione univoca, che rappresenta l’impronta digitale di quel materiale. Un po’ quello che accade con le radiografie, ma con l’enorme vantaggio di non esporre i soggetti a rischi, trattandosi di radiazione non ionizzante. Ecco perché uno degli impieghi ideali sembrerebbe essere il controllo ai varchi aeroportuali, essendo i T-rays in grado di penetrare attraverso i vestiti, i bagagli e altri materiali. Ma le applicazioni sono numerosissime e investono per esempio il campo della biologia molecolare, come l’analisi del Dna.L’uso dei T-rays non è comunque solo una ipotesi futuribile, ma già una realtà commerciale. “Certo, le applicazioni sono ancora un po’ di nicchia, come la spettroscopia atmosferica e astronomica, ormai di routine nelle missioni spaziali. Oppure la spettroscopia molecolare per la caratterizzazione di sostanze chimiche non altrimenti facilmente individuabili”, prosegue Tredicucci, che ha vinto proprio di recente il prestigioso Premio “Ugo Campisano” come miglior fisico under 40 per i suoi studi sui laser a cascata quantica, alla base di molti dispositivi THz.L’uso di questa porzione dello spettro elettromagnetico non ha ricevuto molta attenzione fino a pochi anni fa. Da una parte, infatti, rappresenta il limite superiore dello spettro radio, e non si presta alla trasmissione di segnali in ambiente atmosferico. Dall’altra si scontra con le difficoltà tecnologiche nella realizzazione di componenti optoelettroniche di così bassa frequenza. Proprio le difficoltà di collegare fra loro due tecnologie (e due comunità scientifiche) così diverse sono la causa di questo ritardo tecnologico, che è responsabile anche dei costi elevati di questi dispositivi. Esistono comunque già promettenti realtà commerciali in Europa e soprattutto negli Stati Uniti. Il Giappone poi ha investito moltissimo sullo sviluppo di sorgenti e sensori che possano essere di ampio impiego nelle applicazioni. “Uno degli usi più diffusi è in ambito farmaceutico: l’applicazione dei T-rays consente di effettuare il controllo della qualità dei farmaci in modo sistematico e non a campione, per esempio verificando l’integrità del prodotto o l’efficacia del guscio protettivo nelle pillole a rilascio”, conclude Tredicucci. “Ovviamente, ci sono ancora da risolvere alcuni problemi legati ai costi, che sono necessariamente elevati vista la tecnologia raffinata richiesta, come i laser al femtosecondo; o quelli legati all’ingombro per i laser tradizionali o alla bassa temperatura di lavoro per quelli a cascata quantica. “Senza contare infine che i tempi richiesti per effettuare la scansione e mostrarla a schermo sono ancora troppo lunghi, anche qualche decina di minuti”. I passeggeri in coda non avrebbero forse così tanta pazienza.

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