L’ultimo Caravaggio

Sant’Orsola, giunta a Colonia con le sue undicimila compagne, viene chiesta in sposa dal re degli Unni che hanno invaso la città: il rifiuto della fanciulla scatena la rabbia furiosa del sovrano che la uccide scagliandole contro una freccia. Questa l’iconografia dell’opera che, dopo un importante intervento di restauro, viene presentata a Roma, in Galleria Borghese fino al 20 giugno. Il dipinto venne eseguito da Caravaggio nella primavera del 1610 a Napoli, commissionato dal principe genovese Marcantonio Doria, al quale giunse nel giugno dello stesso anno. La tela è proprietà di Banca Intesa, che l’ha acquistata nel 1973 e che oggi ne ha finanziato il restauro, ma che, come si spera da più parti, permetterà con la formula del “comodato” l’esposizione dell’opera nel Museo di Capodimonte di Napoli.Il martirio di Sant’Orsola rappresenta uno di quei casi in cui l’attribuzionismo, la connoisseurship, come viene definita nel campo storico-artistico, ha portato a un lungo oblio di un quadro che finalmente oggi torna alla ribalta e ai giusti onori. Paradossalmente uno dei dipinti più documentati di Michelangelo Merisi da Caravaggio era legato al nome di Mattia Preti quando Mina Gregori, a metà degli anni Settanta, ha tentato di identificare l’opera come l’ultima realizzata dal pittore lombardo. La studiosa racconta come fosse difficile provare a proporre nuove attribuzioni quando rispetto alle stesse si erano pronunciati grandi conoscitori come Roberto Longhi, che l’aveva attribuito a Bartolomeo Manfredi. Eppure, come oggi sappiamo grazie ad altri studiosi come Vincenzo Pacelli e Ferdinando Bologna, il quadro corrisponde a quello di cui si parla in alcune lettere dell’epoca e, ripercorrendo la storia dell’opera, si comprende come nelle lunghe traversie un dipinto possa perdere il riferimento al suo autore. Tale possibilità aumenta in maniera esponenziale quando la materia pittorica viene pesantemente compromessa e restaurata in maniera non appropriata, fino a portare agli occhi di chi guarda un quadro dipinto più dai restauratori succedutisi nei secoli che dall’artista che l’ha concepito.Tutto questo è capitato alla tela napoletana. Già al suo arrivo a Genova, nel maggio del 1610, non doveva essere in perfette condizioni, come si evince da una lettera in cui il procuratore napoletano del Doria, Lanfranco Massa, scrive che la vernice è ancora fresca e che per questo inconveniente il quadro viene esposto al sole, senza però ottenere miglioramenti. Non si conoscono gli interventi successivi, che comunque devono essere stati numerosi, fino a quello del 1832, quando l’opera è tornata a Napoli, seguendo le vicende del fidecommesso, con la carta d’imballaggio incollata alla pittura. I danni furono ingenti e, per giunta, il duca d’Eboli, Doria d’Angri, nella cui collezione rientrò il quadro, si lamentò di una ridipintura eccessiva.Il risultato è che i restauri del passato, quindi, hanno coperto vaste zone, nascondendo particolari che solo adesso sono tornati alla luce. L’esempio più clamoroso è rappresentato dalla figura che frappone il suo braccio destro tra il re-carnefice e la santa. Fino a quest’ultimo intervento quella mano che vediamo in un scorcio e in una movenza tipicamente caravaggeschi era sparita sotto una coltre rossa che riprendeva il panneggio di S. Orsola che, invece, in quel punto si interrompe. Piccoli frammenti di pittura ancora visibili hanno insinuato il dubbio e l’indagine diagnostica l’ha confermato permettendo di accertare la perdita e poterla quindi recuperare. Stesso discorso può essere fatto per il turbante del carnefice, oggi ben visibile, ma precedentemente trasformato in un cappello con piuma.Nel dipinto, infine, appare anche l’ultimo autoritratto del Merisi che si effigia nel personaggio subito dietro la Santa, come spettatore del martirio, nel momento più difficile della propria esistenza. Va ricordato, a tal proposito, che poco prima Caravaggio aveva realizzato il Davide e Golia, dal 1613 in Galleria Borghese, in cui si era ritratto nel volto del gigante decapitato in un evidente riferimento alla propria condanna a morte. Sappiamo bene che il pittore non riuscì mai a tornare a Roma dove sperava nella grazia di Paolo V Borghese, e che si spense a Port’Ercole forse colto da malaria nel luglio di quello stesso 1610 in cui aveva realizzato le ultime tele, tra le quali oggi risplende il Martirio di Sant’Orsola.L’ULTIMO CARAVAGGIORoma, Galleria Borghese21 maggio-20 giugno 2004Milano, Pinacoteca Ambrosiana2 luglio-29 agosto 2004Vicenza, Gallerie di Palazzo Leoni Montanari3 settembre-10 ottobre 2004Ingresso gratuitoCatalogo Electa

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