Si continua a parlare di zecche, all’indomani delle segnalazioni relative all’aumento di questi piccoli artropodi e del caso della donna morta in Sardegna. L’occasione, stavolta, è la pubblicazione di uno studio che ha cercato di capire quanto fosse comune una delle infezioni associati alla puntura di zecche, la malattia di Lyme. E secondo le analisi rese note si tratta di percentuali elevate: fino al 14,5% della popolazione infatti avrebbe avuto una borelliosi.
La malattia di Lyme
Borelliosi è il termine con cui ci si può riferire alla malattia di Lyme, dal momento che parliamo di un’infezione trasmessa dalle zecche – principalmente dal genere Ixodes – dovuta al genere di batteri Borrelia. È una malattia strana caratterizzata da sintomi intermittenti, che cambiano nel tempo, e che colpiscono organi e tessuti diversi. Nella fase iniziale si parla di rash che spesso si diffonde ad anello dalla zona della puntura (eritema migrante), febbre, dolori muscolo-scheletrici, mal di testa. Nelle fasi successive della malattia, riassumono dai Cdc, possono comparire ulteriori rash, dolori intermittenti a livello muscolo-scheletrico, alterazioni del battito cardiaco, paralisi facciale, infiammazioni a livello nervoso. In alcuni casi queste alterazioni, come le artriti, possono cronicizzare, e a distanza di anni la malattia può causare alterazioni nervose, cardiache o cutanee (come meningite, encefalomielite, disturbi del sonno e comportamentali o miopericardite, solo per citarne alcuni elencati da Epicentro). Un trattamento antibiotico può però risolvere il quadro nel giro di poche settimane ed evitare le complicazioni più tardive della malattia. Che a quanto pare è abbastanza comune.
Quanti hanno gli anticorpi
Il dato del 14,5% anticipato arriva da uno studio pubblicato su BMJ Global Health, che ha messo insieme i dati provenienti da diverse ricerche con dati di sieroprevalenza per la malattia di Lyme, ovvero mirate a identificare la presenza di anticorpi contro i batteri Borrelia, segno dell’infezione. Circa 160 mila le persone coinvolte nelel analisi. Le regioni dove le prevalenze sono maggiori sono l’Europa centrale (con punte di oltre il 20%), l’Asia orientale e l’Europa occidentale. Avere più di 50 anni, essere uomini e risiedere in aree rurali – parliamo sempre di zecche, che hanno il loro habitat ideale su erbe e cespugli quando non attaccate ai loro ospiti – aumenta il rischio di avere avuto un’infezione. Infezioni in generale più abbondanti nell’ultimo decennio rispetto a quello precedente. “La malattia di Lyme la più importante malattia trasmessa dalle zecche e le popolazioni di zecche (portatrici di agenti patogeni microbici secondi solo alle zanzare) si sono espanse a livello globale e geografico negli ultimi anni, aumentando così notevolmente il rischio di esposizione umana alle zecche”, si legge nel paper. Estati più lunghe, inverni più miti, lo spostamento degli animali, e i comportamenti e le azioni umane possono aver favorito tutto questo, continuano.
Servono più studi epidemiologici
Lo studio è solo un tentativo però di fotografare la diffusione dell’esposizione agli agenti patogeni della malattia di Lyme e va interpretato con cautela. Per motivi diversi, spiegano gli esperti: gli studi raccolti sono molto diversi tra loro, mancando di dati relativi nel dettaglio al tipo di popolazione studiata e soprattutto pochissimi riportavano analisi di lungo termine, con cui capire se la positività agli anticorpi correlasse con il rischio di sviluppare la malattia o di riaverla. Quello che appare certo è che parliamo di un rischio diffuso e che comprenderne l’epidemiologia, i fattori di rischio migliorerebbe le strategie di prevenzione.
Riferimenti: Bmj Global Health
Foto: Erik Karits on Unsplash