La mano robotica con il tatto esce dai laboratori

È fatta di metallo, plastica, sensori, fili e circuiti, ma per chi la indossa la sensazione è molto simile a quella che da una mano in carne e ossa. Il suo nome è LifeHand2, un arto artificiale che può restituire mobilità e persino il senso del tatto a chi perso una mano a causa di malattie o incidenti. Un progetto in cui c’è tanta Italia: la mano robotica è stata sviluppata dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dal Politecnico di Losanna, e per la prima volta (almeno parlando di una protesi che percepisce stimoli sensoriali) è stata sperimentata nel mondo reale grazie all’aiuto di un team di neurologi del Policlino Gemelli di Roma.

Come riporta l’Ansa, LifeHand2 è stata impiantata lo scorso anno ad Almerina Mascarello, un’italiana residente in Veneto che ha perso la mano sinistra anni fa per colpa di un incidente. L’intervento svolto dal team del neurologo Paolo Maria Rossini si è rivelato un successo, e la donna ha avuto l’opportunità di testare per sei mesi il funzionamento della protesi. A rendere possibile per la prima volta questo esperimento in “real life”, una lunga serie di migliorie tecniche apportate dai ricercatori guidati da Silvestro Micera sui prototipi già sviluppati negli scorsi anni.

Se i predecessori erano troppo ingombranti per essere utilizzati fuori dal laboratorio, l’elettronica del nuovo modello, sviluppata in collaborazione con l’Università di Cagliari, è contenuta completamente all’interno di un normale zainetto. Vi trovano spazio i circuiti che registrano i movimenti dei muscoli e li traducono in comandi che muovono la mano artificiale, così come il sistema che analizza le informazioni raccolte dai sensori tattili posti sulla protesi e le trasforma in informazioni da inviare ai nervi del braccio per simulare la capacità sensoriale di un arto naturale.

Per testarlo la paziente ha svolto diversi esperimenti sotto la supervisione del team di Micera, ed è stata anche accompagnata in un inedito giro per la capitale, in cui ha potuto verificare sul campo l’utilità della protesi. I risultati della sperimentazione sono in via di pubblicazione, e a detta della donna sono piuttosto soddisfacenti: la protesi si è rivelata utile per svolgere compiti quotidiani, come calzare le scarpe, vestirsi o impugnare uno smartphone, e le sensazioni tattili che si ricavano diventano estremamente naturali dopo poco tempo.

Per ora LifeHand2 rimane ancora un prototipo, ed è stata rimossa al termine dei sei mesi di sperimentazione. Il prossimo passo – hanno spiegato i ricercatori – sarà quello di miniaturizzare ulteriormente i componenti elettronici fino a fare a meno anche dello zaino, e trasformare LifeHand2 in un’alternativa high-tech pratica e concreta con cui migliorare la qualità di vita di tante persone prive di un arto.

Simone Valesini

Giornalista scientifico a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. Laureato in Filosofia della Scienza, collabora con Wired, L'Espresso, Repubblica.it.

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