Non ci sono solo le radiazioni dello Spazio, i dolori muscolari, la perdita di appetito, il mal di testa o la diarrea a rendere complicato un potenziale viaggio verso il Pianeta rosso (qui tutti gli inconvenienti di una vita da astronauta). Partire per Marte, rimanendo in volo nello Spazio a lungo, significa stravolgere gran parte dei ritmi che scandiscono una normale giornata terrestre. Il sonno in primis, come dimostra uno studio pubblicato su Pnas, basandosi sui dati acquisiti durante Mars500, la missione dell’ Agenzia spaziale europea (Esa) e del Russian Institute for Biomedical Problems, conclusasi a novembre del 2011 per simulare un viaggio di andata e ritorno verso Marte, durata 520 giorni.
I sei membri di Mars500 – tra cui anche l’italocolombiano Diego Urbina – per circa un anno e mezzo (corrispondente ai 250 giorni della durata del viaggio per Marte, a un soggiorno planetario di un mesetto, e ai 240 giorni previsti per ritornare a Terra) – durante la missione hanno condotto una novantina di esperimenti per mimare le situazioni potenzialmente incontrate nel viaggio, accumulando dati preziosi sugli effetti di una lunga permanenza nello Spazio. Sia sotto il profilo strettamente medico sia psicologico.
Il gruppo di ricercatori della Perelman School of Medicine della University of Pennsylvania e del Baylor College of Medicine si è occupato, per esempio, di analizzare i ritmi sonno/veglia e lo stato psicologico dell’equipaggio, per determinare così cambi di umore, fatica e perdite di sonno sperimentati durante la simulazione. Per farlo gli scienziati hanno tenuto in considerazione dati acquisiti tramite actigrafia al polso – un sistema per misurare il movimento delle persone, usato per monitorare i cicli di riposo (sonno), e attività (quindi veglia) – l’esposizione alla luce, i tempi passati svegli e la mole di lavoro eseguita.
È così emerso che l’equipaggio, durante i diciassette mesi di isolamento, ha passato più tempo senza muoversi, sia a riposo che dormendo, e la maggior parte del team ha riferito uno o più disturbi tipici del sonno, cambiamenti negli orari e deficit di vigilanza, indici di uno stravolgimento del ritmo circadiano, come spiegano gli autori su Pnas.
Per gli scienziati i risultati dello studio non vanno solo considerati in previsione di esplorazioni spaziali di lunga durata con equipaggio – che dovranno essere disegnate in modo tale da mantenere il più possibile il naturale ritmo circadiano terrestre – ma hanno implicazioni per tutti, astronauti e non.
Cambiamenti nel ritmo sonno/veglia, infatti, possono riguardare chiunque, e sono in aumento nella società, colpa, anche, di una prolungata esposizione alla luce, dei ritmi di lavoro e della sedentarietà. “Abbiamo bisogno di rivalutare come noi consideriamo il sonno dal momento che riguarda tutta la nostra salute e la capacità di essere produttivi”, ha detto in proposito David F. Dinges della Perelman School of Medicine, uno degli autori: “che si tratti di un astronauta impegnato a raggiungere un altro pianeta o di un neonato che sta imparando a camminare, la necessità del corpo umano di dormire è fondamentale quanto il nostro bisogno di acqua e cibo e parte integrante della nostra capacità di prosperare”.
Via: Wired.it
Credits immagine: NASA/JPL-Caltech