Così i videogiochi segnano il nostro cervello

    Negli ultimi decenni l’universo dei videogiochi ha avuto un notevole progresso: siamo passati dal vecchio controller e dai ripetitivi gesti di un Tetris o di uno Space Invaders, per giungere ai sensori di movimento e a esperienze videoludiche che coinvolgono ogni muscolo del nostro corpo.

    Di pari passo con l’evoluzione dei software, dagli anni ’80 a oggi sono anche cambiati gli effetti che un uso continuo dei videogiochi produce sul nostro cervello. Un fenomeno che ha incuriosito i ricercatori delle Università di Nottingham Trent e di Stoccolma, che sull’International Journal of Cyber Behavior, Psychology and Learning hanno analizzato le caratteristiche del cosiddetto Game Transfer Phenomenon (GTP).

    “È una sorta di singhiozzo mentale nel quale la persona reagisce al mondo reale come se fosse in un videogioco”, spiega Mark Griffiths, uno degli autori dello studio. In questa definizione ricadono numerosi effetti: tra i soggetti studiati infatti c’è chi reagisce a una sbandata in macchina con un controsterzo imparato nel videogioco Mario Kart, o chi, in seguito alla caduta della penna, sposta inconsciamente il dito medio, come se volesse raggiungere il tasto R2 di un ipotetico controller (il tasto che viene usato per raccogliere oggetti da terra in numerosi giochi della Playstation).

    “Il cervello si riconfigura continuamente”, commenta Mark Burgess, neuropsichiatra dell’Università di Londra, “ogni nuova cosa che impariamo si traduce in una aggiunta o in una modifica di alcune connessioni all’interno del cervello”. Secondo la teoria del GTP, dunque, il cervello viene allenato continuamente tramite i videogiochi: le nostre sinapsi vengono modellate dall’esperienza virtuale, così che il nostro corpo reagisce di conseguenza a determinati stimoli esterni. Ripetere continuamente questo allenamento mentale porta il videogiocatore ad avere una certa reazione a stimoli simili a quelli dati dal videogioco anche al di fuori dell’esperienza ludica.

    Lo studio di Griffith ha ricevuto però numerose critiche dalla comunità scientifica: alcuni colleghi lo hanno definito incompleto, mentre altri hanno accusato il suo autore di aver ripreso uno studio degli anni ’90 relativo al Tetris Effect, una sindrome simile al GTP ma causata dai movimenti ripetitivi dei videogiochi di quegli anni, e che provocava allucinazioni nel soggetto, come ad esempio veder muoversi le piastrelle del bagno come fossero, appunto, pezzi del Tetris.

    Credit immagine: betsyweber / Flickr

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