Ecco il fossile che cova

    “La scoperta certamente è stata un momento davvero esaltante, non solo per il luogo del ritrovamento, ma anche per il fatto di aver trovato il quinto dinosauro sul nido al mondo”. Con queste parole Federico Fanti, paleontologo dell’Università di Bologna, descrive lo straordinario ritrovamento di un rarissimo esemplare di dinosauro fossile.

    Era il 2007 quando una spedizione guidata da Philip John Currie, tra i massimi esperti mondiali di dinosauri piumati, portò alla luce nel deserto dei Gobi due esemplari appartenenti al gruppo degli oviraptosauri, dinosauri muniti di becco lontani parenti dei moderni uccelli. A scoprire uno dei due reperti, un esemplare conservato nell’atto di covare una ventina di uova all’interno di un nido, fu Federico Fanti, all’epoca giovanissimo ricercatore dell’università di Bologna, unitosi come volontario alla spedizione da soli 4 giorni.

    L’analisi di quei reperti, pubblicata su Plos One in un articolo firmato da Fanti, Currie e Demchig Badamgarav, svela oggi nuove caratteristiche fondamentali riguardo all’anatomia, l’organizzazione sociale e l’adattabilità geografica di questi dinosauri.

    Dottor Fanti, lei ha scoperto a soli 25 anni un esemplare di fossile rarissimo: un inizio folgorante per una carriera scientifica. Cosa conta di più in questi casi, la fortuna o il talento?

    “La scoperta risale al 2007, quando in effetti avevo appena compiuto 26 anni ed ero al mio quarto anno di scavi sul terreno. La scoperta certamente è stata un momento davvero esaltante, non solo per il luogo del ritrovamento – il deserto del Gobi è uno dei posti più desiderati da chi si occupa di dinosauri – ma anche per il fatto di aver trovato il quinto dinosauro sul nido al mondo. Il ritrovamento è stato un colpo di fortuna, anche se passare in media sei mesi l’anno a cercare dinosauri in giro per il mondo certamente aiuta ad aumentare le possibilità.”

    Quali sono gli aspetti più rilevanti di questo ritrovamento?

    “Non è la prima volta che si trova un oviraptor associato a un nido. In questo caso però abbiamo il cranio preservato, che ci permette di identificare con precisione il genere e la specie in questione. Inoltre, la scoperta di altri esemplari appartenenti a questa specie non lontano dal luogo in cui abbiamo ritrovato il nido ci ha aiutato a capire meglio quanto questi animali fossero adattabili a diversi ambienti e diversi climi, da quello mite caratterizzato da ampi corsi d’acqua a quello delle dune desertiche.”

    Il vostro ritrovamento ha contribuito a gettare luce sulle abitudini e i comportamenti di questi dinosauri. Cosa sappiamo oggi degli oviraptor?

    “La nostra conoscenza degli oviraptorosauri continua ad aumentare, e l’aspetto più interessante è che ritrovamenti come il nostro ci forniscono informazioni non solo sul loro aspetto e sulla loro età, ma anche su aspetti della loro vita quotidiana, come ad esempio le abitudini che avevano durante il periodo della nidificazione. Sappiamo infatti che questi dinosauri piumati potevano deporre solo due uova per volta: eppure, nei nidi si ritrovano solitamente venti e più uova. Probabilmente diversi individui deponevano le uova nel medesimo nido, e le prime cure parentali venivano assegnate ad un individuo scelto tra il branco, non necessariamente una femmina.”

    Fare il “cacciatore di dinosauri” sembra un mestiere emozionante, che porta a viaggiare in posti esotici e inospitali. È un lavoro avventuroso come sembra?

    “In effetti sì, anche se il piacere di poter fare questo lavoro compensa ampiamente i disagi che spesso accompagnano le spedizioni. Adesso ad esempio mi aspettano due fossili italiani al 100% risalenti al periodo dei dinosauri, ma stiamo anche portando avanti diverse campagne scavi tra Tunisia e Nord America”.

    immagine: Peter Shanks

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