Fukushima, anche gli oceani a rischio

     L’eredità lasciata dalla centrale di Fukushima potrebbe essere ancora più pesante di quanto immaginato fin’ora. In particolare, alla contaminazione delle terre intorno alla centrale potrebbe aggiungersi anche quella dei fondali oceanici. A scoprirlo sarà il chimico marino Ken Bessueler, del Woods Hole Oceanographic Institution, grazie a una sostanziosa borsa di studio ricevuta dalla NSF  (National Science Foundation) americana. Il finanziamento servirà a valutare la quantità di sostanze radioattive che potrebbe essersi depositata dopo l’incidente nei sedimenti marini del Pacifico e dell’Atlantico.

    Dopolo tsunami seguito al sisma dell’11 marzo, infatti, la Tepco (società che gestisce l’impianto nucleare di Fukushima) aveva cominciato a immettere acqua all’interno dei diversi reattori, per raffreddare le barre di uranio in fase di fusione. Tuttavia, poiché ogni struttura non poteva contenere tutto il liquido, i tecnici giapponesi avevano dato il via allo sversamento nel Pacifico di circa 12 mila tonnellate di acqua radioattiva.

    Così, già il 3 novembre dello scorso anno, la rivista Environmental Science and Techonology aveva pubblicato il primo studio, coordinato dallo stesso Bessueler, sui livelli di radioattività registrati nell’oceano. Le misure effettuate mostravano la concentrazione, in prossimità del punto di scarico, di Cesio-137, un isotopo radioattivo con una vita media di 30 anni: un aumento di 10 mila volte rispetto ai livelli noti prima dell’incidente.

    Nei mesi successivi i ricercatori, continuando a monitorare le acque, avevano registrato alti livelli di radioattività fino a luglio, ovvero fino a quando la Tepco aveva continuato a contaminare le acque. Tuttavia lo studio non è ancora sufficiente a delineare il quadro completo della contaminazione, perché non sono ancora note le quantità e le specie di radioisotopi presenti nelle acque oceaniche.

    Ora dunque non resta che attendere i risultati del prossimo studio, che riguarderà esclusivamente la misura delle sostanze radioattive sui fondali. “I livelli di radioattività fin’ora individuati non rappresentano una minaccia diretta per gli essere umani”, ha tuttavia dichiarato Bessueler. Tuttavia, continua il chimico marino, “se la radioattività si fosse abbondantemente accumulata nei sedimenti marini, potrebbero esserci seri problemi anche per i decenni a venire”.

     

    Fonte: http://www.nsf.gov/news/news_summ.jsp?cntn_id=122542&org=ERE&from=home

    LASCIA UN COMMENTO

    Please enter your comment!
    Please enter your name here