L’Italia si gioca

    Lo scorso anno, gli italiani hanno speso 735 milioni di euro nei giochi online: il 7% in più rispetto al 2010. E anche se l’incidenza delle scommesse virtuali sulla spesa complessiva per i giochi d’azzardo rappresenta solo il 4% del totale, è anche vero che il fenomeno riguarda 2, 6 milioni: tante sono infatti le persone che nel 2011 hanno giocato almeno una volta con mouse e tastiera. E’ il quadro tracciato dall’Osservatorio Gioco Online della School of management del Politecnico di Milano, in collaborazione con i Monopoli di Stato e la Sogei.

    Tracciato anche l’identikit del giocatore tipo: maschio (l’86% del totale), di età compresa tra i 25 e i 44 anni (60%) e meridionale (nel 50% dei casi il giocatore online proviene dal Sud Italia, nel 30 per cento dal Nord, mentre il centro registra un’incidenza del 20%).

    Dunque la crisi economica che morde il paese non sopisce la voglia di fortuna. Anzi: anziché arrestare la corsa “all’oro”, le difficoltà economiche spingerebbero verso l’azzardo soprattutto i più poveri (46%), la fascia di estrazione medio-bassa (56%) e i senza lavoro (66%), come mostrano i dati Eurispes.

    Ma quella che ha tutti i tratti di una vera e propria dipendenza ha anche altre motivazioni, come spiega Pietro Ciani, psicoterapeuta della ASL H di Marino Laziale, che tratta pazienti disturbati da patologie legate al gioco d’azzardo. Mostrando come i più a rischio siano proprio gli individui più fragili, gli anziani e le donne sole.

    Dottor Ciani, chi è il giocatore d’azzardo patologico?
    “E’ un individuo che sente un’estrema necessità di ricorrere al gioco, una dipendenza che deve essere soddisfatta immediatamente. Un problema che riguarda sempre più spesso persone anziane, soprattutto con pensioni basse, e donne sole, soprattutto sopra i cinquant’anni, che cercano un diversivo alla noia delle giornate vuote. Certo, incontriamo anche persone benestanti e istruite, ma per esperienza so che gli individui più a rischio provengono da fasce sociali medio-basse”.

    Quali rischi comporta il gioco compulsivo?
    “Innanzitutto quello economico, visto che è concreta la prospettiva di perdere tutto. Ma non solo: anche l’emarginazione sociale e familiare è dietro l’angolo. Basti pensare a quei mariti che spendono gran parte del loro stipendio nel gioco, causando fratture insanabili nel rapporto di coppia, tali da condurre inevitabilmente alla separazione e ad un ulteriore aggravamento del proprio stato psicologico, fino alla depressione”.

    Esistono delle terapie efficaci per contrastare questa dipendenza?
    “Allo stato attuale, terapie efficaci in assoluto ancora non esistono. Ovviamente il primo passo per battere la dipendenza è la semplice richiesta d’aiuto da parte del soggetto. Questo deve essere consapevole del suo problema. La vera questione, infatti, per coloro che soffrono di questi disturbi, è l’inconsapevolezza dello loro stato: spesso infatti si illudono di padroneggiarlo e di essere immuni da rischi, tanto che spesso i pazienti vengono da me solo su insistente richiesta dei loro familiari”.

    Che ruolo gioca la comunicazione nella lotta contro la dipendenza?
    “Una buona comunicazione in ambito familiare può certamente contrastare l’emergere patologico
    del disturbo. Se c’è modo di aprirsi, di esprimere le proprie ansie, solitudine, insoddisfazione, è più probabile ammettere il problema e prenderne coscienza. Qualunque terapia è inefficacie se non è accompagnata dalla giusta comunicazione, aspetto che può benissimo svolgere anche un ruolo di prevenzione del rischio”.

    Credit immagine: a -RobW- / Flickr

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