Stranezze extrasolari

    La prima conferma della loro esistenza risale al 1995. Da quell’anno, l’interesse scientifico per i pianeti extrasolari, che cioè appartengono a sistemi planetari che orbitano attorno a una stella diversa dal Sole, è cresciuto sempre più. Fino ad oggi se ne contano 453. Ma la recente scoperta di nove esopianeti, due dei quali con orbite retrograde e insolitamente inclinate, mette in crisi le teorie attualmente più accreditate che cercano di spiegare la formazione di questi oggetti e il loro moto di rivoluzione.

    La scoperta è stata annunciata lo scorso 13 aprile durante il National Astronomy Meeting 2010 del Regno Unito. Gli studi sull’inclinazione del piano orbitale sono stati effettuati con il sistema Wasp (Wide Angle Search for Planets) dell’osservatorio La Silla in Cile, e utilizzando lo spettrografo Harps, montato sul telescopio 3,6 mt dell’Osservatorio Australe Europeo (Eso).

    Il gruppo di ricerca guidato da Didier Queloz, dell’Osservatorio dell’Università di Ginevra, e da Andrew Collier Cameron, dell’Università di St. Andrews (Scozia), ha analizzato i dati  derivanti da questi nuovi nove pianeti, combinandoli con quelli di altri ben 18 esopianeti. Grazie al contributo degli osservatori Tautenburg (Germania), McDonalds (Texas, USA) e il Nordic Optical Telescope (NOT) presso l’Osservatorio astronomico di La Palma (Canarie), si è scoperto che sei pianeti, sui 27 considerati, orbitano nella direzione opposta alla rotazione del loro sole (l’esatto contrario di quello che succede nel nostro Sistema Solare) con un’orbita fortemente inclinata rispetto al piano equatoriale della loro stella.

    Entrambi i fatti contraddicono le teorie sulla formazione dei pianeti, secondo le quali un giovane sistema planetario in via di formazione risiede nel “disco di accrescimento”: nubi di gas e polveri, residuo della stessa materia interstellare che ha dato vita alla stella attorno alla quale orbita il sistema, che per condensazione e aggregazione gravitazionale daranno poi vita ai cosiddetti “planetesimi”, e di conseguenza ai pianeti.

    Questi oggetti celesti di recente scoperta, di dimensioni paragonabili a quelle di Giove, percorrono orbite molto prossime alla loro stella; un fenomeno che secondo i ricercatori potrebbe indicare l’esistenza di disturbi gravitazionali con altri corpi massivi molto lontani. I primi dati osservati contrastano così con le teorie “classiche” per le quali questi “Giove caldi” si formano ai confini più esterni dei dischi di accrescimento, migrando successivamente verso il centro del sistema.

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