Categorie: Società

Mediazione penale, solo per pochi

Dalle tribù Maori ai tribunali di Londra, Parigi, Stoccolma il salto non è breve. Eppure nel sistema legislativo occidentale la mediazione penale, una pratica molto antica usata dalle piccole comunità tribali australiane e canadesi per la risoluzione pacifica dei conflitti, è ormai una norma consolidata. La sua applicazione sembra però trovare ancora delle resistenze in Italia. Le ragioni sono soprattutto culturali: la mediazione viene percepita come “salvifica”, una scorciatoia rispetto al sistema delle sanzioni e dell’accertamento del reato e non le vengono riconosciute qualità educative. E’ la conclusione degli esperti riuniti nel convegno “Mediazione penale: quali prospettive?” organizzato dall’Istituto di Ricerca sui Sistemi Giudiziari (Irsig) presso la sede del Consiglio Nazionale delle Ricerche a Roma. Parlano chiaro, infatti, i risultati di due ricerche condotte dall’Irsig, una presso gli addetti ai lavori di 8 centri di mediazione penale e l’altra tra i magistrati dei tribunali minorili che con essi collaborano, raccolte nel volume “Mediazione penale: chi, dove, come e quando” che fa il punto sulla mediazione in Italia in vista della legge quadro dell’Unione Europea che obbliga tutti gli Stati a ricorrere a questo istituto entro il marzo 2006. “Oggi quasi tutte le nazione dell’Ue adottano la mediazione penale con autori di reato sia adulti che minorenni”, spiega Anna Mestitz, ricercatrice dell’Irsig e curatrice del libro. “In Italia invece viene usata quasi esclusivamente con i minorenni da circa un decennio, anche se non esistono norme specifiche al riguardo”. Nella giustizia minorile, infatti, essa viene applicata come strategia giudiziaria informale, mentre la legge prevede che i giudici di pace possano usarla con gli autori di reato adulti per evitare la querela. Ma anche in questo caso sono pochi i casi inviati ai centri e ai servizi specializzati. In base a questo strumento, un mediatore conduce gli incontri tra autori di reati, in genere non gravi, e vittime e cerca di ristabilire la pace sociale mediante la riparazione dei danni subiti. “E’ accertato il valore educativo della mediazione: essa previene e scoraggia recidive o reati molto più gravi e le politiche sociali di varie nazioni europee tendono a potenziarla per la prevenzione della criminalità minorile e per l’aumento della sicurezza dei cittadini”, continua Mestitz. “Ma le ricerche fanno emergere la scarsità di risorse umane e finanziarie e la mancanza di norme adeguate”. Il personale dei servizi di mediazione, per esempio, è in maggioranza prestato da altre amministrazioni, spesso è volontario e ciò spiega perché il carico di lavoro è piuttosto scarso: il 60 per cento dei mediatori ha trattato una media di 15 mediazioni all’anno, cioè una media di 1,4 casi al mese ciascuno. Secondo i dati, inoltre, più della metà dei 29 uffici giudiziari minorili non possono inviare casi in mediazione perché essa è svolta solo in 12 città da 4 centri sociali minorili e da 8 centri locali per la mediazione finanziati da comuni, province e regioni. “I tre quarti circa dei casi sono inviati in mediazione dai pubblici ministeri nella fase pre-processuale a scopi rieducativi e solo un 25 per cento è inviato dai giudici durante il processo penale”, continua Mestitz. “Nel 2000 in 6 centri per la mediazione i casi mediati sono stati l’8 per cento di tutte le denunce di minorenni presentate alle rispettive procure”. Il dato in sé è positivo perché segna un miglioramento rispetto al 1999 ma se lo si trasferisce a livello nazionale includendo tutti gli uffici giudiziari minorili è pari allo 0,46 per cento, cioè 180 casi inviati in mediazione su quasi 39 mila denunce. Poco rispetto alle percentuali di invii sul totale delle denunce di altri paesi europei: 17 per cento di Catalogna, Lussemburgo e Norvegia, il 15 per cento in Austria e il 7 per cento in Svezia. “Le potenzialità di questa strategia riparativa non sono riconosciute nel nostro paese, infatti viene usata solo per i reati non gravi, mentre si possono mediare anche reati gravi come la violenza sessuale”, commenta Grazia Mannozzi, associato di diritto penale alla facoltà di giurisprudenza di Como. “Durante un processo il colpevole deve difendersi e vede nella vittima un nemico, invece nella mediazione le parti si incontrano per razionalizzare l’accaduto. Dall’offerta di riparazione dell’autore del reato la vittima può ricavare un tipo di risarcimento che non è solo quello pecuniario”.

Roberta Pizzolante

Giornalista pubblicista dal 2005, è laureata in Sociologia e ha un master in "Le scienze della vita nel giornalismo e nei rapporti politico-istituzionali" conseguito alla Sapienza. Fa parte della redazione di Galileo dal 2001, dove si occupa di ambiente, energia, diritti umani e questioni di rilevanza etica e sociale. Per Sapere, bimestrale di scienza, si occupa dell'editing e della ricerca iconografica. Nel corso negli anni ha svolto vari corsi di formazione e stage nell'ambito della comunicazione (Internazionale, Associated Press, ufficio stampa della Sapienza di Roma, Wwf Italia). Ha scritto per diverse testate tra cui L'espresso, Le Scienze, Mente&Cervello, Repubblica.it, La Macchina del Tempo, Ricerca e Futuro (Cnr), Campus Web, Liberazione, Il Mattino di Padova. Dal 2007 al 2009 ha curato l'agenda degli appuntamenti per il settimanale Vita non Profit.

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