Meno primati nei laboratori

Stop all’utilizzo di tutte le scimmie antropomorfe tranne “qualora sia in gioco la sopravvivenza della specie stessa o di fronte a una malattia mortale per gli esseri umani” e ricorso alle altre specie di primati non umani solo in mancanza di alternative, e in assenza di tali metodi, prendendo tutte le precauzioni perché soffrano il meno possibile. Così si legge nella proposta di revisione della direttiva 86/609 sulla protezione degli animali utilizzati nella sperimentazione scientifica, varata all’inizio del mese dalla Commissione Europea. Un approccio basato sulla teoria delle 3 R (Replacement, Reduction e Refinement), che mira a ridurre al minimo il numero di scimmie negli esperimenti vista l’impossibilità, almeno al momento di vietarne completamente l’utilizzo. Alla stessa conclusione sono giunti anche gli esperti del gruppo di lavoro creato dallo Scientific Committee on Health and Environmental Risks (Scher), incaricato dalla Commissione di redigere un parere scientifico (opinion).

“In Europa, secondo le statistiche, nel 2005 sono stati usati circa 10.400 primati, lo 0,1 per cento del totale degli animali impiegati, contro i 55 mila degli Usa (lo 0,4 per cento)”, spiega Emanuela Testai, primo ricercatore del Dipartimento Ambiente e Prevenzione Primaria dell’Istituto Superiore di Sanità e membro del gruppo di lavoro europeo. “In Europa gli Stati che usano di più i primati sono Germania, Francia e Regno Unito. In Italia nello stesso anno ne sono stati usati 412, solo il 4 per cento sul totale di quelli europei, prevalentemente per studi di malattie umane, come l’Aids, di neuroscienze, di etologia e per test tossicologici richiesti per legge per verificare la sicurezza di alcuni farmaci ai fini della loro registrazione e immissione sul mercato”.

Nel 2006 la situazione non è cambiata di molto. I dati pubblicati in Gazzetta ufficiale il 16 ottobre scorso dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, parlano di 375 primati utilizzati a fini scientifici. In base al decreto legislativo 116/92 (Protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici) l’uso di primati, cani e gatti è vietato, anche se può essere richiesta una deroga al Ministero della Salute che la concede dopo valutazione e parere favorevole dell’Iss. Negli ultimi anni le autorizzazioni sono aumentate, passando da una media di 128 per il biennio 2004-2005 a 141 per il 2006-2007, anche se il numero di animali è rimasto sostanzialmente lo stesso.

Da qui l’allarme della Lav e delle associazioni a tutela degli animali: questo tipo di ricerche dovrebbero essere l’eccezione e non la regola. “In Italia il principio per il quale il metodo alternativo dovrebbe essere preferito viene del tutto ignorato”, denuncia Michela Kuan, biologa della Lav e autrice di un dossier sui metodi sostitutivi. “In 25 anni gli studi sui primati non hanno fornito nessun dato utile per la messa a punto di un vaccino contro l’Hiv, più produttivi invece gli studi clinici, i metodi genetici e biomolecolari, e quelli in vitro e in silico che prendono come modello l’essere umano. Questi animali vengono usati anche per lo studio di malattie come depressione e ansia, riconducibili a fattori ambientali e culturali tipici della specie umana, mentre rimangono sottovalutati e statisticamente irrisori gli studi epidemiologici su queste patologie”.

Ma per alcune patologie i primati sono ancora considerati il golden standard per la loro somiglianza biologica con gli esseri umani. “Nel 2005 sia in Europa che in Italia la maggior parte dei primati (circa 300 nel nostro paese), sono stati utilizzati in test tossicologici necessari per ottenere l’autorizzazione all’immissione sul mercato e regolamentati da specifiche linee guida”, continua Testai. “Ogni qualvolta un metodo alternativo è accettato dalle autorità regolatorie deve essere utilizzato; quindi, se si chiede la deroga, è perché non ci sono alternative. Il tipo di risposta che si ha dai metodi in vitro è molto importante e aiuta a identificare i meccanismi d’azione delle sostanze, portando così a una diminuzione degli animali da utilizzare. Purtroppo al momento non disponiamo di metodi in vitro che possano sostituire i primati”.

Anche lo studio di alcune malattie non può prescindere del tutto dall’uso dei primati. “Nel caso del morbo di Parkinson, per esempio, si usano metodi in vitro o specie meno sviluppate dal punto di vista del sistema nervoso, come gli invertebrati, per studiare le basi molecolari della malattia”, spiega Augusto Vitale del dipartimento di Biologia cellulare e neuroscienze dell’Iss. “Se però ci interessa lo studio delle complicazioni motorie, allora l’uso dei primati non umani è tuttora insostituibile”.

Impossibile, quindi, procedere a un totale Replacement (Sostituzione), almeno in tempi brevi. Nell’immediato si potrà invece ridurre il loro uso grazie alla revisione e all’armonizzazione delle linee guida in vigore e all’aumento dello scambio di informazioni. “E’ possibile stabilire la similitudine strutturale e nel comportamento tossicologico fra due sostanze attraverso test in vitro o in silico. Così che, per esempio, i risultati di tossicità ottenuti su animali per la prima sostanza possono essere ritenuti validi anche per la seconda, senza dover ripetere le sperimentazioni”, conclude Testai. Molto si farà anche sul versante del Refinement (Raffinamento), con l’introduzione di metodi di indagine non invasivi per gli studi neuro-fisiologici, come la MRI e con il miglioramento delle condizioni di stabulazione.

La proposta di revisione della 86/609, infatti, garantisce che gli animali siano alloggiati in gabbie di dimensioni sufficienti e in un ambiente adatto. “Le modifiche nei parametri fisiologici indotte dalla sofferenza e dallo stress, infatti, rappresentano variabili indesiderate nei risultati sperimentali”, conclude Gemma Perretta, ricercatrice dell’Istituto di Neurobiologia e Medicina Molecolare del Cnr e presidente della Felasa (Federazione delle associazioni europee di scienza degli animali da laboratorio). “E’ quindi molto importante mantenere gli animali in condizioni ambientali adeguate, cioè in gabbie o strutture sufficientemente ampie per permettere una certa libertà di movimento e l’espressione dei normali comportamenti della specie, e con elementi di arricchimento che rendano l’ambiente più complesso e stimolante. I primati utilizzati comunemente in laboratorio sono animali sociali e, quindi, la compagnia di uno o più animali compatibili è la miglior forma di arricchimento ambientale”.

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