Microsfere contro le metastasi al fegato

Colpire i tumori al fegato con elevate dosi di radiazioni direttamente dentro l’organismo. Un approccio che ha un potenziale davvero elevato per il trattamento di questa forma di cancro, come dimostrano i dati dello studio Sirflox presentati durante il 51° congresso della Società Americana di Oncologia Medica (Asco) che si è svolto a Chicago dal 29 maggio al 2 giugno scorsi. Nei pazienti affetti da cancro colorettale metastatico non resecabile trattati con questa tecnica, infatti, si è registrato un miglioramento nella sopravvivenza libera da malattia di 7,9 mesi.

La SIRT, conosciuta anche come radioembolizzazione, è un tipo speciale di radioterapia usata per trattare gli epatocarcinomi che non possono essere rimossi con un intervento chirurgico, e viene usata principalmente per due scopi: ridurre i tumori del fegato che sono diffusi dall’intestino e quelli epatici primari, che hanno avuto origine cioè in questo organo.

Lo studio. I dati dello studio Sirflox riguardano una particolare forma di Sirt, quella più diffusa, che prevede l’iniezione nel corpo dei pazienti di milioni di minuscole “perline” di resina radioattive che risalgono dall’arteria epatica e arrivano a depositarsi nel fegato, dove emettono elevate dosi di radiazione che uccidono il tumore. Le microsfere di resina SIR-Spheres Y-90 contengono infatti una sostanza radioattiva chiamata ittrio-90; le loro dimensioni sono pari a circa un terzo del diametro di un capello umano; hanno quasi la stessa gravità specifica di un globulo rosso e scorrono facilmente nel sangue che alimenta il tumore.

Con oltre 500 pazienti arruolati, Sirflox è il più grande studio randomizzato di radiologia interventistica al mondo condotto in ambito oncologico. Lo scopo dello studio era quello di valutare se l’aggiunta della Sirt alla terapia di prima linea standard, cioè chemioterapia (uno schema che prevedeva 5 fluorouracile, leucovorina e oxaliplatino) somministrata con o senza farmaco biologico (bevacizumab), migliorava le condizioni dei pazienti rispetto alla sola chemioterapia con o senza biologico.

“Abbiamo osservato che nei pazienti che seguivano lo schema standard di prima linea il tumore al legato ricominciava a crescere dopo un tempo medio di 12,6 mesi, mentre in quelli che avevano ricevuto anche la Sirt il tumore rimaneva sotto controllo in media per 20,5 mesi”, ha spiegato Peter Gibbs, uno dei leader del gruppo di ricerca internazionale che ha condotto lo studio, oncologo medico al Royal Melbourne Hospital, in Australia. “I 7,9 mesi in più sono statisticamente significativi e si traducono in una riduzione del rischio di progressione del tumore del 31%”.

Un risultato che fa la differenza, come dimostra anche il fatto che l’abstract dello studio Sirflox è stato inserito fra le 71 presentazioni “Best of Asco” scelte fra le diverse migliaia arrivate al comitato organizzatore del congresso. “Questi dati sono rilevanti perché il fegato è invariabilmente l’organo dove il cancro colorettale si diffonde prima. E mentre la metà dei pazienti inizialmente diagnosticati sopravvive grazie alla rimozione chirurgica del tumore primario prima che si sia diffuso, le metastasi epatiche causano la morte della maggioranza dei centinaia di migliaia di pazienti rimanenti”, ha sottolineato ancora Gibbs.

I pazienti trattati con Sirt hanno fatto registrare anche un miglior tasso di risposta alla terapia: 78,7% contro il 68,8% del braccio assegnato allo schema standard. In più, fra i pazienti che avevano ricevuto le microsfere, la percentuale di risposta completa alla terapia, definita come assenza di metastasi nel fegato, è stata relativamente piccola, 6%, ma più di tre volte superiore a quella dell’altro gruppo, 1,9%. Prima dello studio Sirflox non c’erano evidenze di come si potesse intervenire con la radioterapia nel tumore al pomone. “Sapevamo che poteva funzionare ma non avevamo modo di raggiungere solo le cellule malate e di preservare il tessuto sano”, ha commentato Guy van Hazel, dell’Università dell’Australia Occidentale a Perth, un altro dei leader dello studio.

La procedura. La somministrazione delle microsfere avviene con una procedura relativamente breve e poco invasiva. Dopo aver somministrato al paziente un anestetico locale, il radiologo interventista, adeguatamente formato, effettua una piccola incisione all’altezza dell’inguine dove viene inserito un catetere e condotto fino all’arteria epatica, che alimenta i tumori del fegato. Le microsfere (un numero variabile fra 30 e 60 milioni) vengono somministrate attraverso questa via e raggiungono il tessuto tumorale. Qui emettono la radiazioni solo sul tumore, causando danni minimi al tessuto sano. La loro attività dura circa due settimane, dopo le quali rimane solo il 3% della radioattività, che si esaurisce dopo un mese. La sua azione però dura molto più a lungo. Dopo la somministrazione al paziente viene eseguita un’ecografia per controllare il livello di radiazioni. Si tratta di una procedura che può essere eseguita in day hospital, anche se in alcuni paesi è previsto un ricovero di due giorni.

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