Categorie: Spazio

Mini motori per mini satelliti

I CubeSats sono piccolissimi satelliti di ricerca, poco più grandi di un cubo di Rubik, sempre più utilizzati per via dei ridotti costi di lancio e di costruzione. Sono però sprovvisti di sistemi di propulsione autonomi, quindi una volta finita la loro funzione, restano nell’orbita terrestre ostacolando la “viabilità spaziale”. Un gruppo di ricercatori del Mit sembra però avere trovato una soluzione, presentata al congresso dell’Istituto americano di aeronautica ed astronautica: il microthruster, un propulsore miniaturizzato, grande non più di un centimetro, capace di muovere queste piccole sonde emettendo piccole scariche di ioni.

“I micro-satelliti possono rimanere in orbita per sempre come spazzatura spaziale e poi scontrarsi con altri satelliti”, spiega Paulo Lonzano, ricercatore a capo del gruppo del Mit. “Una manciata di questi incidenti potrebbe bastare per porre uno stop definitivo all’era spaziale”. Un sistema di propulsione sembra dunque fondamentale per permettere lo smaltimento dei CubeSats al termine delle missioni, e tenere così pulita l’orbita terrestre. I sistemi tradizionali tuttavia, con i loro tubi, le valvole e le grosse cisterne per il carburante, sono impossibili da adattare a una taglia così piccola, al contrario del microthruster sviluppato dal gruppo di Lonzano.

Il dispositivo del Mit è composto da diversi strati di un metallo poroso, con quello più esterno caratterizzato da 500 microscopiche protuberanze, o punte. Alla base del microchip (così lo definiscono i ricercatori) è contenuta una piccola riserva di un plasma liquido composto da ioni liberi, che per via dell’azione capillare del metallo, che contiene pori sempre più stretti negli strati più esterni, viene risucchiato verso lo strato superficiale. Rivestendo il microchip con una lamina dorata e applicando una corrente elettrica, i ricercatori sono riusciti a generare un campo elettrico tra la lamina e la base, facendo così in modo che gli ioni venissero liberati dalle punte presenti sullo strato esterno, generando in questo modo una spinta.

Con le sue 500 punte nella lastra esterna, il microthruster è in grado di generare una forza di spinta di 50 micronewton. Sulla Terra questa intensità basterebbe appena per spostare un foglio di carta; nella quasi totale assenza di gravità in cui si trovano a operare gli apparecchi spaziali, questa spinta è invece più che sufficiente per permettere di manovrare satelliti che pesano fino a un chilogrammo in modo che una volta completato il loro compito, si autodistruggano lasciandosi bruciare dall’atmosfera o trascinino con loro vecchi satelliti e altri tipi di detriti da eliminare.

I ricercatori prevedono che in futuro potrebbe addirittura essere possibile utilizzare i microthruster per manovrare satelliti di dimensioni molto più grandi: pannelli piatti composti di molteplici di questi propulsori potrebbero spingere il satelliti nello spazio, facendogli cambiare direzione un po’ come un timone o come la coda di un pesce.

Credit immagine a M. Scott Brauer

Simone Valesini

Giornalista scientifico a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. Laureato in Filosofia della Scienza, collabora con Wired, L'Espresso, Repubblica.it.

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  • Secondo me questa è una svolta!Se si investisse un po su questo si potrebbe arrivare a un nuovo propulsore...l'era spaziale per il genere umano starà forse arrivando?

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