Nanocapsule spaziali, è la medicina del futuro

Visti i tempi di magra, non è detto che la conquista di Marte da parte degli Usa avverrà tanto presto, come sperava Obama. Ma se mai la Nasa invierà degli esseri umani sul Pianeta Rosso, con quello che una simile missione può costare, di certo non rischierà che i suoi astronauti si ammalino durante i tre anni di viaggio. Infatti, non meno interessanti dei progetti sulle sonde che dovrebbero trasportare gli equipaggi, ecco spuntare quelli sui sistemi che dovrebbero proteggere la loro salute, prima di tutto dell’esposizione alle radiazioni

David Loftus
, della Space Biospace Division della Nasa, ha infatti realizzato quelle che lui chiama biocapsule: strutture fatte con nanotubi di carbonio in grado di contenere cellule vitali. Che, a loro volta, contengono diversi medicinali, molecole e sensori per far fronte a varie situazioni. Per esempio: un astronauta che passeggia nello Spazio viene investito da un flusso intenso di particelle solari con tutto il loro carico di radiazioni. Ed ecco che alcune delle biocapsule, impiantate sotto pelle, rilevano l’aumento della radioattività e rilasciano una dose di G-CSF (Granulocyte colony-stimulating factor) – una citochina già utilizzata nei pazienti oncologici trattati con radioterapia – per aiutare l’organismo a rispondere all’aggressione esterna. 

Fantascientifico? Sì, ma non tanto quanto si potrebbe pensare, visto che esiste già un brevetto sulle biocapsule. Come dovrebbero funzionare esattamente lo ha spiegato lo stesso Loftus a Gizmodo. I piccolissimi contenitori di carbonio sono forati, in modo che l’ossigeno disciolto nei tessuti possa entrare e nutrire le cellule, per farle sopravvivere (da mesi a anni). Queste, ingegnerizzate per contenere delle molecole terapeutiche, reagiscono ai cambiamenti fisiologici e, in caso di necessità, rilasciano il loro contenuto (che passa all’organismo sempre attraverso i fori). 

Le capsule della Nasa hanno altri vantaggi: le cellule al loro interno possono contenere molte dosi di medicinali e a oggi non si conosce enzima in grado di attaccare il guscio di carbonio, che è un materiale inerte e quindi non rischia di generare reazioni nell’organismo. In più sono economiche e facili da realizzare. Le sferette possono essere semplicemente rimosse quando l’astronauta è di nuovo a Terra.

Veniamo alle applicazioni che potrebbe avere questa invenzione proprio sul nostro pianeta e che hanno già destato l’attenzione di Darpa, l’agenzia per la difesa statunitense, intenta a immaginare plotoni di soldati con le capsule impiantate. 

Per Loftus, la prima applicazione potrebbe essere nel trattamento del diabete. Le sfere potrebbero infatti contenere cellule (da un milione a cento milioni) con la stessa funzione delle isole di Langerhans (le cellule pancreatiche sensibili al livello di glucosio e che secernono insulina). Se si arrivasse a questo, le persone diabetiche non dovrebbero più tenere sotto controllo costantemente la glicemia, né correrebbero più rischi durante la notte. 

Non è certo il primo tentativo della nanomedicina di creare un sistema che trasporti il farmaco dove serve e a richiesta, e che potrebbe trovare applicazioni anche nel trattamento dei tumori e di malattie genetiche (per esempio nell’emofilia, dove manca una proteina per la coagulazione del sangue). Ma Loftus è ottimista e prevede che tra 10-15 anni le biocapsule saranno una realtà. I primi studi clinici sugli animali sono in agenda per il 2012 e il 2013 e, se tutto andrà come deve, i trial sugli esseri umani seguiranno a breve.

via wired.it

Credits immagine: Nasa 

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