Categorie: Tecnologia

Nel grafene, elettroni viscosi come il miele

Il grafene è noto ormai da anni come il materiale delle meraviglie, ma continua comunque a riservare sorprese. L’ultima arriva da una ricerca internazionale che vede coinvolti due dei fondatori di questo campo di studi, i premi Nobel Konstantin Novoselov e Andre Geim (primo ed unico premio nobel ad aver vinto anche un Ig-Nobel), ma anche un importante contributo del nostro paese. Lo studio, a cui hanno collaborato la Scuola Normale superiore e il Consiglio nazionale delle ricerche, è stato infatti coordinato da Marco Polini, ricercatore dei Graphene Labs dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova. Il nuovo lavoro, pubblicato su Science, descrive il comportamento degli elettroni in un foglio ultra pulito di grafene, dimostrando che è simile a quello di liquidi viscosi come il miele.

La ricerca è stata svolta in modo sperimentale, utilizzando transistor basati su fogli di grafene incapsulati tra cristalli di nitruro di boro. Misurando il trasporto elettrico di questi dispositivi, gli scienziati hanno dimostrato che a temperature non criogeniche (superiori quindi a quella dell’azoto liquido) gli elettroni in questi cristalli ultra puliti si comportano come liquidi viscosi, e sono ben descritti per questo dalle equazioni dell’idrodinamica. A temperatura ambiente, in particolare, la viscosità degli elettroni studiati con le equazioni dell’idrodinamica è superiore a quella di un liquido come il miele.

“Normalmente gli esperimenti di laboratorio si realizzano con sistemi raffreddati a temperature criogeniche”, ha spiegato a Wired Polini. “Il nostro studio dimostra che esiste molta fisica interessante anche ad alte temperature, e potrebbe presto trovare importanti applicazioni pratiche, nell’industria, o nell’imaging medico, dove non è possibile operare a temperature troppo basse”.

In particolare, lo studio apre le porte allo sviluppo di fotorivelatori a theraertz, rivelatori che lavorano con una lunghezza d’onda molto difficile da rilevare, e che con le tecnologie attuali risultano ingombranti e di difficile utilizzo a causa delle bassissime temperature a cui devono operare. Grazie ai risultati della nuova ricerca, si aprono invece le porte a nuovi rivelatori portatili e capaci di funzionare a temperatura ambiente, che potrebbero trovare applicazione nel controllo di qualità a livello industriale, dall’ambito alimentare a quello farmacologico, nella costruzione di body scanner, nella rilevazione di esplosivi, fino alle telecomunicazioni e all’imaging biomedico, un campo in cui l’utilizzo dell’onda terahertz potrebbe dare enormi vantaggi grazie al fatto di essere non invasiva (cioè non ionizzante).

“La teoria alla base di questi nuovi fotorilevatori era già stata sviluppata negli anni ’90, ma mancava il cristallo adatto per realizzarli”, conclude Polini. “Grazie al nostro studio ora sappiamo che il grafene ultra pulito presenta le qualità necessarie, e quindi potrebbero diventare realtà in tempi veramente brevi”.

via Wired.it

Credits: AlexanderAlUS/Wikipedia

Simone Valesini

Giornalista scientifico a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. Laureato in Filosofia della Scienza, collabora con Wired, L'Espresso, Repubblica.it.

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