Si è conclusa martedì scorso con un nulla di fatto la conferenza mondiale sulla sicurezza degli alimenti biotecnologici che, per otto giorni, ha visto impegnati a Cartagena, in Colombia, i rappresentanti di 138 nazioni. La rottura dei colloqui è avvenuta poiché il cosiddetto “gruppo di Miami”, formato da Usa, Canada, Australia, Argentina, Cile e Uruguay si è rifiutato di sottoscrivere il Protocollo sulla biosicurezza approvato invece da tutti gli altri Stati partecipanti. Oggetto del contendere è stata la liberalizzazione incontrollata del commercio dei cibi transgenici: i sei oppositori sono a favore del libero mercato e sostengono che la vendita su scala mondiale dei cibi geneticamente manipolati potrebbe favorire anche le aree meno sviluppate. I paesi in via di sviluppo insieme alla maggioranza dei partecipanti, invece, sono contrari alla diffusione senza rigidi controlli di questi prodotti poiché minaccerebbero la biodiversità delle specie vegetali esistenti. Anche le organizzazioni ambientaliste si sono opposte alla proposta del gruppo di Miami. In particolare il consulente politico di Greenpeace, Louise Gaile, ha accusato il governo statunitense di promuovere la diffusione di cibi transgenici per favorire gli affari miliardari delle multinazionali. (f.u.)
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