Nessun legame con i Neandertal

Non abbiamo antenati tra gli uomini di Neandertal. E questa volta l’affermazione ha tutta l’aria di essere definitiva. Un gruppo di ricercatori italiani, guidato da Giorgio Bertorelle del Dipartimento di Biologia dell’Università di Ferrara, ha per la prima volta eseguito un’analisi comparata di sequenze di Dna mitocondriale provenienti da quattro neandertaliani di un periodo compreso tra i 30 mila e i 40 mila anni fa, due Cro-Magnon (Homo sapiens), risalenti uno a 25 mila e l’altro a 23 mila anni fa, 60 europei moderni e 20 non europei. I risultati, pubblicati sui Proceeding of the National Academy of Science, “costituiscono un fortissimo indizio del fatto che le due forme, sapiens e Neandertal, si sono evolute indipendentemente, non hanno mai fatto parte di un’unica popolazione interfeconda e pertanto rappresentano due specie distinte”, ha commentato Olga Rickards, docente di Antropologia molecolare all’Università di Roma Tor Vergata. Infatti le sequenze di Dna mitocondriale dei neandertaliani differivano da quelle dei nostri contemporanei da 23 a 28 coppie di basi su 360 osservate, mentre le sequenze dei Cro-Magnon e quelle degli umani moderni erano di fatto indistinguibili.

Dal 1856, anno in cui furono ritrovati i primi fossili neandertaliani, non era stato chiarito se gli uomini di Neandertal fossero i nostri immediati progenitori o appartenessero a una specie estinta, vissuta tra i 135.000 e i 34.000 anni fa in un’area che va dall’Europa occidentale fino al Medio Oriente e parte dell’Asia. Negli ultimi trent’anni, due differenti modelli dell’evoluzione umana hanno diviso la comunità degli antropologi. Il primo, conosciuto come “modello multiregionale”, vede l’origine dell’umano anatomicamente moderno come un fenomeno verificatosi in tutte le aree dove erano presenti popolazioni arcaiche di Homo. Queste, uscite dalla culla africana attorno a due milioni di anni fa, si sarebbero diffuse in Asia, dando origine a Homo erectus, e in Europa, evolvendosi in Homo heidelbergenisis e poi nealderthalensis. L’evoluzione verso sapiens sarebbe avvenuta in modo continuo e parallelo nelle varie aree del Vecchio Mondo attraverso un considerevole flusso genico che avrebbe evitato il differenziamento locale in specie diverse a causa di isolamento riproduttivo. Secondo il modello alternativo, invece, Homo sapiens avrebbe avuto origine in Africa in tempi più recenti (intorno a 200-100.000 anni fa) e sarebbe migrato verso l’Europa e l’Asia andando a sostituire le popolazioni dei suoi parenti arcaici che già esistevano in loco. Senza incrociarsi con l’asiatico Homo erectus né con l’europeo Neandertal.

Nel 1998 la scoperta in Portogallo dello scheletro di un bambino vissuto circa 24.500 anni fa sembrò una conferma del modello multiregionale, dato che molti antropologi videro in quei resti tratti comuni sia ai Cro-Magnon sia ai Neandertal. Ma i dubbi rimasero. Come spiega Olga Rickards, “è difficile attribuire un fossile a una data specie, a maggior ragione a un ibrido, e nel caso di un bambino è ancora più problematico”. Nel tentativo di decidere tra i due modelli alternativi e scoprire se vi fosse stato un mescolamento tra umani arcaici e moderni migrati dall’Africa, gli studi più recenti si sono concentrati sulle comparazioni tra le sequenze di Dna mitocondriale ricavate dai fossili. Nella nostra specie, infatti, i mitocondri sono ereditati solamente dalla madre, per cui le differenze tra i Dna mitocondriali provenienti da individui imparentati per via materna sono dovute solo a mutazioni casuali che si accumulano con il passare delle generazioni. “Il Dna mitocondriale”, spiega la studiosa romana, “rende più facile la ricostruzione della storia evolutiva della nostra specie, perché non subisce fenomeni di ricombinazione nel corso della riproduzione sessuale. Inoltre, a differenza del Dna nucleare, è presente nelle cellule in un gran numero di copie, il che rende verosimile che in resti antichi si riesca a trovare qualche molecola intatta”.Fino a ora la comparazione tra il Dna mitocondriale dei neandertaliani e quello di umani moderni non aveva rivelato alcun contributo dei primi al patrimonio genetico dell’umanità attuale. Non si poteva però escludere un certo grado di mescolamento tra i moderni e i loro parenti arcaici. “I multiregionalisti obiettavano che la mancanza nell’umanità attuale di sequenze simili a quelle riscontrate nei neandertaliani poteva essere dovuta alla selezione naturale, che avrebbe ridotto sostanzialmente la variabilità del Dna mitocondriale dopo la scomparsa dei Neandertal. Pertanto, qualsiasi linea mitocondriale di individui vissuti circa 30.000 anni fa, fossero sapiens o neandertaliani, sarebbe risultata molto diversa dai tipi mitocondriali osservabili nelle varie regioni del mondo ”, spiega Olga Rickards. Ma il lavoro di Bertorelle e del suo gruppo smentisce i multiregionalisti: i Dna mitocondriali dei due Homo sapiens di 23 e 25mila anni fa cadono perfettamente nel range di variazione noto per l’umanità attuale, ma differiscono nettamente dalle sequenze dei coevi neandertaliani. L’uomo di Neandertal non ha quindi lasciato eredi.

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