Anni e anni di ricerche ci hanno permesso di accumulare una serie di evidenze scientifiche, con diversi gradi di certezza, relativamente alla sicurezza di ciò che consumiamo, che siano alimenti o beni di altro tipo. Nel caso delle sigarette, per esempio, sappiamo ormai che il fumo di tabacco fa male, e che non esiste una dose di sicurezza, sotto la quale ci si possa dire esenti da rischi. Lo sappiamo – anche – per i messaggi antifumo che campeggiano sui pacchetti di sigarette, corredati di immagini forti, pensate con la precisa intenzione di informare, ma anche impressionare e così, almeno teoricamente, dissuadere dall’acquisto, dal consumo e da possibili dipendenze. Un sistema di etichettatura simile è stato appena proposto anche per le bevande alcoliche e il caffè, per motivi diversi ma in fondo riassumibili allo stesso modo: consumi eccessivi possono essere dannosi e il consumatore ha il diritto di saperlo. Meglio dirlo, meglio evidenziarlo. Ma ci sono evidenze a sostegno che avvertire, anche con messaggi forti e chiari, i consumatori, li dissuada davvero dalle loro scelte? E dovremmo forse farlo per tutto ciò che sappiamo essere rischioso? Perché? Ma andiamo con ordine e vediamo chi ha proposto cosa.
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Tutti gli eccessi sono nocivi, queste sono banalità. I fumatori sanno benissimo che il fumo fa male. Invece delle scritte sui pacchetti sarebbe molto più efficace aiutarli a liberarsi del vizio che è costoso e rende i fumatori handicappati.